Quando esce, ora, si guarda alle spalle. Ha 16 anni, terza liceo. Un ragazzo come tanti. Scuola, sport, il sabato e la domenica, ma neppure sempre, un'uscita con gli amici. Abita in centro a Milano, ma ora se esce è più guardingo e cammina più veloce. Anche per andare a fare gli allenamenti, quando sono appena le nove di sera.
È stato proprio intorno a quell'ora che una domenica di qualche settimana fa è stato rapinato da un gruppetto di ragazzi che hanno la sua stessa età. Prima lo hanno circondato, vicini sempre più vicini con quella vicinanza prepotente, invasiva, prevaricatoria.
Poi una pacca sulla spalla, il sorriso arrogante, la richiesta dei soldi e infine la minaccia col coltello. È successo non in un angolo della Milano periferica (che comunque sarebbe lo stesso) ma in una zona centrale, vicino a un ristorante dove la gente ha continuato a mangiare, a ridere e bere e non si è accorta di nulla.
Che cosa è successo quella sera?
«Sono uscito tranquillo, saranno state le 9. Stavo andando con un amico a mangiare un panino. È stato tutto inaspettato e molto veloce».
In che senso?
«Ho sentito un fischio e d'istinto mi sono girato. Ho visto uno... un tizio... è sbucato all'improvviso dal buio».
Era da solo?
«Per un attimo sì, il tempo di chiedermi una sigaretta. Gli ho risposto che non l'avevo, mi ha messo una mano dietro al collo e mi ha detto dai su dammi i soldi. Poi sono spuntati gli altri... saranno stati 6 o 7. Mi hanno circondato e mi hanno messo spalle al muro. Il mio amico invece è riuscito a infilarsi dentro al ristorante».
E non è intervenuto nessuno?
«No. Nessuno. Ma non si sono accorte di niente, neppure le persone che erano sedute lì fuori che mangiavano. Forse perchè quei tizi avevano un atteggiamento molto tranquillo. Come mi hanno chiesto una sigaretta, con lo stesso tono mi hanno chiesto di dargli i soldi. Per loro sembrava una cosa normale, facile. Io gli ho detto che non avevo niente, allora uno ha tirato fuori il coltello. Dammi i soldi o ti ammazzo ha minacciato. Ho tirato fuori 20 euro, ma loro mi hanno messo le mani in tasca e hanno tirato fuori altri 30 euro. E se ne sono andati. Non hanno chiesto altro».
Come era il loro atteggiamento?
«Erano minacciosi ma sorridenti, tranquilli come se quello che stavano facendo fosse per loro la quotidianità di vita. Come io mi alzo e vado a scuola...»
E fisicamente?
«Avevano più o meno la mia età. Quei tipi un po' così... con cappellino, borsello, felpa e tuta, non italiani. Quelli che noi chiamiamo zanza, i tagli sul sopracciglio, tagli in testa, gli orecchini, quelle cose che imbruttiscono per sembrare più cattivi».
Poi cosa è successo?
«All'inizio non sapevo bene cosa fare, ero spaventato. Il mio amico ha chiamato la polizia, mi hanno risposto che avrebbero fatto i controlli. Così sono tornato verso casa. Due ore dopo mi hanno richiamato per dirmi che li avevano presi e che dovevo fare il riconoscimento».
Ti sei trovato faccia a faccia con loro, quindi?
«Eh sì, ci ho pensato... metti che poi li ribecco in giro. Comunque è un'ingiustizia. Se ne sentono troppo spesso tra noi ragazzi, ogni week end ne capita una. Ma se non vengono puniti non capiranno mai la lezione».
Cosa ti è rimasto da questa storia?
«I primi giorni non uscivo più. È stata un'esperienza che mi ha segnato. Adesso quando esco non sono più tranquillo come prima.
Faccio sempre attenzione, sto in gruppo, cerco di non stare mai da solo e se mi trovo da solo mi guardo in giro... insomma lo stato d'animo non è più lo stesso. Tra noi ragazzi ne parliamo spesso se ci fosse una testa calda, qualcuno che reagisce... che cosa potrebbe accadere?»
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