Schubert finisce a teatro con il "Canto del cigno"

Oggi chiude lo spettacolo di Romeo Castellucci ideato per il festival di Avignone su un noto Lied

Schubert finisce a teatro con il "Canto del cigno"

Milano, unica città in Italia, ha un teatro specializzato in Performing Art, l'ultimo linguaggio che l'arte contemporanea ha prodotto, fondendosi con lo spettacolo. L'arte performativa è anzitutto «azione» dell'artista, singolo o in gruppo, che genera la sua opera direttamente in presenza del pubblico, facendo uso - oltre alla recitazione - anche del proprio corpo. Il Teatro dell'Arte è in viale Alemagna 6 nella sala riaperta da un anno e rinnovata. La performance inizia ad essere presente come genere privilegiato da quando Umberto Angelini assume la direzione artistica nel gennaio 2017. «Qui si presenta un genere di spettacolo che gli altri non hanno». La tendenza si conferma e si consolida con Stefano Boeri dal febbraio scorso. Intanto oggi è in cartellone alle 16 l'ultima rappresentazione del lavoro di Romeo Castellucci Schwanengesang D774, spettacolo ideato per il Festival di Avignone in cui il regista performer si confronta con la musica schubertiana. Il titolo significa Canto del cigno ed è tratto da un Lied di Schubert, cantato dal soprano svedese Kerstin Avemo accompagnata dal pianista Alain Franco, che costituisce il nucleo di questo lavoro.

Dal 21 al 24 febbraio sarà la volta di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, autori artisti e performer: in Quasi niente si ispirano al film Deserto rosso di Michelangelo Antonioni, prima opera a colori per il regista ferrarese. Deflorian-Tagliarini scelgono di lavorare sul personaggio di Giuliana (nel film interpretata da Monica Vitti), una «selvatica vestita elegante», per svelarne il disagio, la purezza e la fanciullezza, che il mondo non sembra più disposto ad ascoltare. La stagione chiuderà con l'appuntamento più atteso, Fog-Triennale Milano Performing Arts, il festival che caratterizza il Teatro dell'Arte. Si attendono soprattutto tre grandi appuntamenti coprodotti dalla Triennale, oltre ai vari collaterali, da marzo a giugno: apre il festival, dal 15 al 17 marzo, The night writer del performer belga Jan Fabre.

A seguire Silvia Costa, dal 22 al 24 marzo, con Nel paese d'inverno liberamente tratto da Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, una prima assoluta. Chiude il festival Kingdom, prima italiana dell'«Agrupación Señor Serrano» Spagna. L'arte performativa, in continuo cambiamento, prende spesso stimoli e ispirazioni dal passato. Ne sono dimostrazione gli ultimi due recenti e quanto mai validi spettacoli che sono stati in scena al Teatro dell'Arte, anch'essi testimonianza di questa fine di cartellone in divenire.

Il primo è stato l'Aminta di Antonio Latella, fortuna scenica di Torquato Tasso che il regista campano di origine con 4 premi Ubu sulle spalle (fino al 2020 direttore del Settore Teatro della Biennale di Venezia), ha saputo rileggere lasciandolo intatto, eppure rendendolo attuale. Soli quattro giovani attori in scena che hanno raccontato l'amore del pastore Aminta per Silvia, una ninfa mortale, in modo che lo spettacolo diventasse una riflessione sull'essenza dell'amore. Gli interpreti erano in piedi su una scena vuota, e l'unico strumento con cui hanno dato volume alle azioni era la parola e, dal secondo tempo, la musica rock.

Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa è stato la prima regia del creatore dell'Odin Teatret firmata al di fuori di questo. Un progetto ispirato all'opera e alla persona di Franz Kafka in una fusione di elementi diversi.

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