Milano - Soldati, armi e uranio impoverito. La chiamano Sindrome del Golfo, negli Stati Uniti il caso è esploso nel 1993 dopo la prima guerra in Iraq. In Italia tutto inizia dalle missioni in Bosnia. E poi in Kosovo e in Iraq. Militari che hanno operato per settimane nei punti caldi del pianeta a stretto contatto con gli effetti prodotti da armi munite di proiettili “depleted uranium” e al ritorno a casa hanno avuto tristi sorprese. L’esame medico che stronca speranze, sogni e progetti per il futuro. Tumori, leucemie, linfomi di Hodgkin, presenza di strane leghe di metalli pesanti (inesistenti in natura) nel sangue. Lo spaccato che offre “L’Italia chiamò” lascia senza fiato. Sgomento e paura si accavallano tra le pagine e lungo le immagini dell’inchiesta multimediale realizzata da tre giornalisti (Leonardo Brogioni, Angelo Miotto e Matteo Scanni) e pubblicata da Verdenero edizioni (16,90 euro libro+dvd). L’inchiesta è anche un sito.
Le storie Quattro soldati vivono un difficile ritorno alla normalità dopo essersi ammalati di tumore operando in zone bombardate con armi all’uranio impoverito. Luca, Emerico, Angelo e Salvatore hanno scelto volontariamente la divisa, ma sono stati abbandonati dall'Esercito nel momento in cui hanno dovuto lottare per la vita fuori e dentro i reparti di oncologia gli ospedali. Chi ha denunciato ha subito minacce e ricatti, chi ha taciuto è sprofondato nella solitudine. L’inchiesta racconta con immagini e parole gli effetti dell’inquinamento bellico sul personale delle forze armate impiegato in Bosnia, Kosovo e Iraq. Il documentario giornalistico, premiato dalla critica, riannoda in un diario intimo le storie dei soldati, ricostruendo la catena delle responsabilità.
La denuncia Come in tante storie all’italiana quello che colpisce è la poca preparazione (almeno iniziale) e la lenta capacità di reazione delle forze armate italiane. “I soldati americani erano equipaggiati diversamente – è la testimonianza riportata anche sulla quarta di copertina -. Prima di entrare in una zona considerata a rischio indossavano tute protettive, guanti speciali, maschere con filtro. Noi invece lavoravamo a mani nude, le nostre maschere, quando ce le davano, erano di carta, tute niente”. E al ritorno le tristi sorprese. Uomini alle prese con problemi di salute e, dall’altra parte, i vertici dell’esercito sordi e le istituzioni assenti.
Effetti non provati La politica non riesce a mettersi d’accordo. Molte statistiche in materia sono inquinate, da una parte e dall’altra, da punti di vista ideologici. Due diverse Commissioni parlamentari d’inchiesta hanno cercato di ristabilire la verità dei fatti, ma sono arrivate a conclusioni non concordati. E attualmente per alcuni scienziati non è dimostrabile il nesso causa-effetto tra l’insorgenza dei tumori e l’esposizione agli effetti di armi all’uranio impoverito. Ma nei corpi dei soldati ci sono elementi chimici che possono provenire solo da questo tipo di esplosioni. Di recente i tribunali ne hanno riconosciuto gli effetti letali, aprendo la strada a centinaia di richieste di risarcimento.
Il problema è che il picco dei decessi deve ancora arrivare, avvertono gli scienziati. Perché le contromisure adeguate (tute protettive, mascherine, guanti) sono state adottate con colpevole ritardo. E i ragazzi chiamati dall’Italia continuano ad ammalarsi e a morire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.