Dal ministro al Csm, la toga aggressiva che ha insulti per tutti

Insulti triviali. Accuse pesantissime e volgari. Frasi sguaiate e grossolane che non sfigurerebbero in una commedia da terza serata tv. Ma, invece, questi messaggi caricati a pallettoni avevano come destinatari il Consiglio superiore della magistratura, il Ministro della giustizia, il Presidente della Cassazione, il Procuratore generale della corte d’appello di Bologna e via elencando ermellini e papaveri. A tutti l’infuriatissimo Tiziano L. – all’epoca di questo procedimento giudice al tribunale di un centro delle Marche – distillava pillole della sua ruvida saggezza, sullo sfondo della guerra per bande che aveva dilaniato gli uffici giudiziari romagnoli alla metà degli anni Novanta. Scriveva l’ineffabile Tiziano L., a proposito delle intercettazioni compiute in Romagna nel ’95: «Indaghi dunque il magistrato inquirente per accertare la presenza di rumori sospetti nei nastri incisi e proceda poi a perizia anofonica per accertare l’identità di colui che del cul fece trombetta: nell’attuale clima di spionaggio, nel quale non si è più sicuri nemmeno quando ci si siede nell’intimità di un cesso, non si sa mai che qualcuno possa ritenere immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell’ordine giudiziario, il magistrato che, pur nell’intimo convincimento di non essere captato da indiscrete cimici scorreggia nell’ufficio del comandante dei vigili». Come si vede, una prosa raffinata, oltre che agile dal punto di vista sintattico. Il giudice L. si sentiva in guerra. Esposto dopo esposto, rincarava la dose. «Non è mia intenzione» mandava a dire al Procuratore di Firenze il 1º aprile ’97 «essere ulteriormente preso – si scusi l’espressione – per il culo». Durissimo. Implacabile. Incattivito. Ma poi ancora, in una pioggia, anzi un diluvio da grafomane di lamentele, la frizione gli slittava di nuovo e le lettere grattavano di nuovo contro l’asfalto dell’educazione e di un minimo di galateo istituzionale: «Il cittadino... perché sia ancor più chiaro il concetto... afferma che è pronto a smerdare (cfr. dizionario Devoto) chiunque». E vai. Interrogato dalla Disciplinare, per questo incredibile florilegio di dichiarazioni inserite in documenti inviati a mezza magistratura italiana, lui se la cava a buon mercato, spiegando che «non può definirsi disdicevole o sconveniente ciò che si limita a descrivere la realtà, per quanto fastidiosa, spiacevole o non gradita».

Ma davanti al seguito interminabile di contumelie, anche la Disciplinare allarga le braccia: «Nessuna giustificazione possono invece avere le gravi e ingiuriose espressioni rivolte verso i magistrati». Il 21 settembre 2001 Tiziano L. viene condannato alla censura.

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