Sarà, come dicono, uno dei più importanti summit della Nato, ma quello apertosi ieri a Newport, in Galles, sembra il vertice della schizofrenia. La schizofrenia, o in alternativa il bluff, di un Fogh Rasmussen, segretario generale Nato, che mentre accusa la Russia di attaccare l'Ucraina e snobba il piano di pace di Vladimir Putin da per quasi certo un intervento in Irak contro lo Stato Islamico. «Siamo di fronte a un clima di sicurezza drammaticamente cambiato...all'est, la Russia sta attaccando l'Ucraina» - dice il segretario generale liquidando il piano di pace di Putin come elemento di poco conto rispetto a «quanto accade sul terreno». E aggiungendo che «verrà esaminata seriamente» un'eventuale richiesta di aiuto irachena per combattere lo Stato islamico. Il tutto grazie ai soldi dei contribuenti europei invitati a «rovesciare il trend declinante dei budget dedicati alla Difesa». Insomma mentre l'Europa affronta una crisi che minaccia persino la crescita della Germania, mentre le sanzioni già imposte alla Russia minacciano le nostre aziende e quelle in arrivo - legate agli avvenimenti sul terreno - rischiano di costringerci a rinunciare persino al gas, Rasmussen ci chiede di combattere una guerra su due fronti. E di pagarcela aumentando le tasse. Una prospettiva irreale non solo per l'Europa, ma persino per un'America chiamata, dal 2012, a rispettare le direttive strategiche che definiscono irrealistica la possibilità di combattere contemporaneamente due conflitti su fronti diversi. Da noi Obama pretende, invece, proprio questo. Ripetendo, come fa da qualche giorno, che «la Nato ha le porte aperte per nuovi membri» il presidente statunitense c'invita esplicitamente ad accogliere l'Ucraina all'interno della Nato. La mossa secondo il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, segnala non solo l' «aumento della retorica anti-russa» ma «dimostra che il partito della guerra a Kiev ha sostenitori esterni, in questo caso gli Stati Uniti». Al di là delle schermaglie diplomatiche la mossa appare pericolosissima perché ci costringerebbe, per effetto dello statuto Nato, a schierarci con Kiev in caso di scontro diretto con Mosca. A quel punto le truppe europee - oltre a dover appoggiare una scalcagnata Ucraina alle prese con un esercito russo appena ristrutturato e rinnovato - si ritroverebbero imbottigliate in un Medioriente dove Mosca può contare su alleanze assai insidiose. Combattere l'Isis in Irak e Siria senza aver stretto un patto di non belligeranza con una Repubblica Islamica e con un Bashar Assad assai vicini a Putin equivale ad infilarsi in un vicolo cieco. Un vicolo da cui usciremmo con le ossa rotte sia militarmente, sia politicamente. Ma bisognerebbe anche chiedersi come usciremo da un Afghanistan dove ormai la Russia gioca un ruolo più importante della Nato. Un Afghanistan dove l'Iran può rendere assai complesso, se non doloroso, il disimpegno delle truppe italiane dispiegate al confine con i territori della Repubblica Islamica. Pericoli che il nostro Matteo Renzi intravede assai bene quando, pur sottoscrivendo l'idea di fornire un «concreto supporto a Kiev» sottolinea la «necessità di evitare che la Nato venga percepita come un ulteriore fattore conflittuale». In tutto questo la mossa più autolesionistica di Fogh Rasmussen e dei vertici Nato sembra però la richiesta di aumentare le spese militari. La Germania capofila e locomotiva dell'Europa potrebbe esser la prima a rispondere con un secco «nein».
Gli esponenti socialdemocratici alleati di governo di Angela Merkel hanno già respinto con decisione un'ipotesi di questo genere. E a questo punto riesce francamente difficile pensare che la Cancelliera rischi una crisi di governo per far la guerra ad una Russia con cui la Germania vanta un interscambio da 90 miliardi di euro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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