Donald Trump

Primo giorno di Trump: una picconata a Obama e la marcia rosa in piazza

Corteo femminista mondiale contro il tycoon. Decreto del presidente contro la sanità pubblica. Via dal sito web la pagina sui diritti gay. Tende color oro nello Studio Ovale

Primo giorno di Trump: una picconata a Obama e la marcia rosa in piazza

Donald Trump ha mantenuto la promessa: aveva assicurato che avrebbe iniziato a lavorare dal «Day One», dal primo giorno, e così ha fatto. Dopo aver giurato come 45° presidente degli Stati Uniti, e prima ancora di recarsi ai tradizionali balli inaugurali con la first lady Melania e il resto della famiglia, si è seduto nello Studio Ovale della Casa Bianca firmando alcuni decreti esecutivi. In testa a tutti quello diretto alle agenzie governative per ridurre il peso dell’Obamacare. «La mia amministrazione intende abolire» la riforma sanitaria di Barack Obama, si legge nel documento. In attesa che questo accada «è essenziale assicurare che la legge sia attuata in modo efficiente, adottando tutte le azioni per minimizzare il peso economico e preparandosi a consentire agli Stati maggiore flessibilita».

Anche se solo il Congresso può abrogare l'Affordable Care Act, l’ordine afferma che il governo federale deve agire nel modo più incisivo possibile per allentare «il peso fiscale su individui, famiglie e industria sanitaria». Il neo Commander in Chief ha poi firmato la conferma delle nomine di James Mattis come segretario alla Difesa e quella di John Kelly come ministro della Sicurezza Interna. Ma la nuova era di The Donald passa anche per il restyling dello Studio Ovale, al quale il tycoon ha già dato un suo tocco. Via dunque le tende rosso scuro del predecessore, sostituite da tende color oro, in perfetto stile Trump. E nell’ufficio è tornato anche il busto di Winston Churchill, che Obama aveva trasferito in un’altra stanza, sostituendolo con quello di Martin Luther King. Nuovo look anche per il sito della Casa Bianca, dove sono scomparse le pagine sui diritti civili, il cambiamento climatico e i diritti Lgbt. Sul fronte della politica estera, invece, la leader britannica Theresa May sarà la prima europea ad incontrare Trump, e il presidente russo Vladimir Putin fa sapere di essere pronto al faccia a faccia (pur se «non accadrà nelle prossime settimane, ci vorranno mesi»).

E mentre la nuova first family ha preso parte alla cerimonia di preghiera interreligiosa nella National Cathedral, la capitale è stata invasa dall’esercito «rosa» anti-Trump, contro all’agenda del presidente. Dopo gli scontri di venerdì, terminati con 217 arresti e il ferimento lieve di sei poliziotti, ieri la protesta è stata pacifica. E i numeri sono impressionanti: a Washington una folla oceanica si è radunata lungo il National Mall per la «marcia delle donne» (ma anche tanti uomini tra cui l’ex segretario di Stato John Kerry), considerata una delle mobilitazioni di piazza più massicce della storia americana. Gli organizzatori parlano addirittura di 500mila partecipanti, tra cui esponenti politiche come la senatrice della California Kamala Harris, considerata l'astro nascente del partito democratico, l'attivista e femminista Gloria Steinem, il regista liberal Michael Moore, e tante star di Hollywood, tra cui Scarlett Johansson e Ashley Judd. «Siamo tutti sotto attacco e solo noi possiamo proteggerci a vicenda. Restiamo uniti, marciamo insieme, per i prossimi quattro anni», ha detto l'attrice America Ferrera aprendo la manifestazione.

La mobilitazione è andata in scena anche in tante altre città in tutti i 50 Stati Usa: a New York un corteo di decine di migliaia di persone è partito dal Palazzo di Vetro dell’Onu per raggiungere la Trump Tower, sulla Fifth Avenue. A Boston, invece, è salita sul palco la senatrice progressista Elizabeth Warren. E ancora, tra le manifestazioni più numerose, quelle a Chicago, Denver e Los Angeles. Anche l’ex candidata democratica Hillary Clinton è scesa in campo, su Twitter: «Grazie per parlare e marciare per i nostri valori. È importante come sempre, e ritengo che siamo sempre più forti quando siamo insieme», ha scritto, rifacendosi allo slogan della sua campagna elettorale, «Stronger Together».

Ma la protesta è globale, e secondo gli organizzatori circa 2 milioni e mezzo di persone si sono radunate nelle piazze di tutto il mondo, anche fuori dagli Stati Uniti, da Londra a Parigi, da Berlino a Sydney, da Milano a Roma, passando per New Delhi e Stoccolma.

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