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Singapore, sentenza di morte viene comunicata a un imputato tramite Zoom

Gli attivisti umanitari hanno subito tacciato di insensibilità i magistrati di Singapore che hanno condannato a morte “a distanza” l’imputato

Singapore, sentenza di morte viene comunicata a un imputato tramite Zoom

La piattaforma Zoom per videochiamate, impiegata assiduamente in questo periodo di pandemia soprattutto per organizzare riunioni di lavoro e per rimanere in contatto con amici o familiari, è stata utilizzata ultimamente a Singapore per “infliggere la pena di morte” a un imputato. Nella città-Stato asiatica ha avuto infatti luogo in questi giorni la prima udienza processuale gestita da remoto. A vedersi notificare la sentenza capitale per mezzo di una video-telefonata è stato un cittadino malese, detenuto con l’accusa di traffico di droga.

Il soggetto riconosciuto colpevole a Singapore, ricostruisce oggi Agi, è un individuo di 37 anni di età, a cui è stato contestato dai magistrati locali l’avere smerciato nel 2011, insieme a due corrieri della droga, almeno 28,5 grammi di eroina. Il condannato, riporta il Guardian, si chiama Punithan Genasan e si è sempre professato innocente, negando con forza di conoscere i due presunti “muli”.

Il traffico di stupefacenti, rimarca l’agenzia italiana, è severamente punito dalle leggi della città-Stato, che commina anche la pena di morte per i casi più gravi, come quello in cui è stato dichiarato implicato l’imputato malese.

Un portavoce della Corte suprema di Singapore, afferma la testata britannica, ha giustificato l’utilizzo di Zoom nella causa giudiziale a carico di Genasan presentandolo come inteso a “tutelare la sicurezza di tutte le persone coinvolte nel processo”.

A confermare la notizia della condanna a morte comunicata mediante una video-telefonata è stato Peter Fernando, avvocato del cittadino malese, che ha poi comunicato, aggiunge il giornale londinese, di stare valutando l’esito di un’eventuale impugnazione del verdetto di primo grado.

L’irrogazione della pena capitale tramite una piattaforma per videochiamate è stata subito biasimata con forza dalle organizzazioni a difesa dei diritti umani.

Ad esempio, gli attivisti di Human Rights Watch si sono schierati con nettezza contro la pratica di infliggere la morte “da remoto”. Phil Robertson, vicedirettore dell’ong in questione con delega agli Affari asiatici, ha a tale proposito rilasciato la seguente dura dichiarazione, riportata dall’organo di informazione romano: “La pena di morte è intrinsecamente crudele e disumana, e l'uso da parte di Singapore di tecnologie remote come Zoom per condannare a morte un uomo la rende ancora di più”.

Egli, evidenzia Agi, ha quindi tacciato di insensibilità i magistrati di Singapore che hanno fatto ricorso a Zoom per emettere una sentenza di morte a carico di un essere umano, venendo meno al principio garantista della pubblicità dei processi e della presenza fisica dell’imputato in aula: “E' piuttosto sorprendente che i pubblici ministeri e il tribunale siano così insensibili che non riescono a vedere che un uomo che sta affrontando una pena capitale dovrebbe avere il diritto di essere presente in tribunale per vedere i suoi accusatori”.

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