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Libertà, ricchezza, genio: tutto quello che la sinistra odia di Musk

Chi è davvero Elon Musk? Lo si può definire un anarcolibertario. La difesa della libertà è diventata una sua crociata. E questo fa infuriare la sinistra che non lo vuole a capo di Twitter

Tasse, Lgbt e cancel culture: perché la sinistra odia Musk

Dice di essere progressista sui diritti civili e conservatore su quelli fiscali. Ama definirsi socialista. "Solo non il tipo che sposta le risorse dalla più produttiva alla meno produttiva, fingendo di fare del bene, mentre in realtà causa danni. Il vero socialismo cerca il massimo bene per tutti". I suoi detrattori, invece, non lo definiscono: si limitano ad attaccarlo aspramente e a bollare la sua filosofia di vita, le cui radici affondano nei romanzi scritti da J.R.R. Tolkien, Isaac Asimov e William Golding, col termine muskismo. Un neologismo (ovviamente dispregiativo) che sicuramente richiama il populismo e altri ismi con cui i progressisti si riempiono la bocca.

Non è facile inquadrare Elon Musk. Forse perché con i suoi eccessi, le sparate e i successi non lascia mai indifferenti: o piace o no, non c'è un'emoticon mediana per definirlo. E così, se volessimo proprio buttarci in questo esercizio che lascia il tempo che trova e tentassimo di racchiuderlo in una casella politica (il ché è praticamente impossibile visto il personaggio) potremmo azzardarci a definirlo libertario. Un ultrà delle libertà portate all'eccesso che sconfina nell'anarchia. Un anarcolibertario, dunque. Ma anche così saremmo lontanissimi dal capire il soggetto. Certo è che tutto quello che lui incarna urta profondamente i nervi di progressisti, liberal, dem, radical chic e via dicendo.

La lista di quello che intravedono in lui e che disprezzano è davvero lunga. Perché, pur essendo seduto su una montagna d'oro del valore monstre di mille miliardi e pur potendo gestire un patrimonio personale di quasi 270 miliardi (cento in più di Jeff Bezos), non è affatto il prototipo del liberal della Silicon Valley. Non sposa le campagne buoniste, le devasta a suon di tweet. Non cavalca i cambiamenti climatici per invocare un ritorno all'età della pietra, investe sul green su quattro ruote e ci fa soldi (tanti soldi). Non difende le minoranze e il politicamente corretto, fa di tutto per essere scorrettissimo agli occhi di qualsiasi minoranza. In una parola: è controcorrente. Sempre. E lo fa col sorriso sulle labbra irridendo tutto e irritando tutti (meno che i suoi oltre 86 milioni di follower su Twitter). Per questo non poteva che levare le tende dalla California e andarsene in un posto che gli era più congeniale (a livello ideologico e soprattutto fiscale): il Texas. La rottura è avvenuta all'inizio della pandemia e dell'ondata di restrizioni. Quando gli è stato comunicato che la sede di Palo Alto della Tesla avrebbe dovuto restare chiusa, ha fatto fare gli scatoloni e, tempo zero, ha spedito tutti quanti a Austin.

Un ultrà delle libertà, certo. Ma soprattutto un anti statalista in piena regola. "Lo Stato è semplicemente la più grande azienda con un monopolio sulla violenza, contro cui non hai possibilità di ricorso; quanti soldi daresti a questa entità?". Se da una parte appare ovvia l'incomunicabilità con l'incrollabile fede liberal californiana pro tasse e regolamentazione, dall'altra risulta altrettanto scontata l'attrazione verso il nuovo Eldorado a stelle-e-strisce: il Texas, infatti, non solo si presenta come un paradiso fiscale (non ha addizionale locale sull'Irpef), ma gode anche di una burocrazia che dire snella è davvero troppo poco. Due ingredienti che hanno portato questo Stato ad accogliere oltre 4 milioni di nuovi residenti, il 42% dei quali si sono trasferiti proprio dalla vicina California, e ad essere la prova provata che quello che professa Musk è giusto: non è lo Stato a creare occupazione e quindi benessere, ma la libertà di impresa.

La libertà è per Musk una sorta di religione. Per difenderla è disposto a tutto e con tutti ingaggia continui scontri. Nemmeno i talebani del gender, intransigenti fino al midollo e forse i più illiberali tra tutti gli illiberali, gli fanno paura. "Tutti questi pronomi sono un incubo estetico", twittò tempo fa facendo imbufalire l'intera comunità Lgbt. Negli ultimi anni ha intrapreso una personalissima crociata contro la cancel culture e l'ideologia woke, "un virus mentale" che oggigiorno rappresenta "una delle più grandi minacce per l'umanità". Quando Dave Chappelle è finito nel tritacarne per aver detto che "ogni essere umano sulla Terra è dovuto passare attraverso le gambe di una donna", non ha esitato a prendere le sue parti. E quando Netflix ha registrato, fra gennaio e marzo, 200mila abbonamenti in meno e un conseguente crollo in Borsa del 40%, ha gongolato: "Perde utenti perché aderisce all'ideologia woke". Colpito e affondato.

Forse il più grande successo (politico) di Musk è stato proprio entrare nel green, settore monopolizzato dalla sinistra ambientalista, e farci soldi. Un mucchio di soldi. Questo, a conti fatti, è Tesla. Oggi la società vale 880 dollari ad azione circa (pesa l'acquisto di Twitter) ma qualche mese fa era arrivata a valere fino a 1.200 dollari ad azione. Nei giorni scorsi sul Foglio Camillo Langone annotava: "La sua è la storia di un anarcolibertario divenuto ricchissimo vendendo macchine bruttarelle, dispendiose e disfunzionali a benestanti ambientalisti, perciò divietisti e statalisti". Giudizio estetico a parte, l'analisi sulla "lezione del grande maestro Musk" è perfettamente corretta e condivisibile: è riuscito a "vendere a perfetti conformisti l'illusione di essere diversi e superiori". Immaginate che travaso di bile deve venire a tutti questi sinistrorsi ogni volta che lo sentono difendere l'energia nucleare.

Oggi tutti questi liberal sono in subbuglio. Non gli va a genio l'incursione di Musk nel campo dei social media. Lui ha promesso che vuole più libertà di cinguettio. E questo ai liberal non va giù. Vogliono essere loro a stabilire cosa si può dire e cosa no, cosa si può scrivere e cosa no, cosa si può twitter e cosa no. E così ora minacciano di cancellarsi da Twitter. Un po' come quando nel 2016 avevano minacciato di emigrare in Canada qualora Donald Trump avesse vinto le elezioni.

Oggi come allora giurano che la democrazia è a rischio. Già, ma quale democrazia?

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