Morta la Nillson «la Callas di Wagner»

Alberto Cantù

Birgitt Nilsson era un torrente di voce brunita e fiammeggiante. Un soprano drammatico wagneriano - il maggiore, il più assoluto del Novecento - tutto sciabolate di suono: dagli acuti infallibili e di metallo purissimo, con centri pieni e ricchi color oro antico.
Se ne è andato alle soglie degli ottantotto anni questo miracolo del Nord, questa Callas delle eroine wagneriane nata a Karup, dove ora riposano le spoglie, frutto della natura, di un’intelligenza strepitosa e di studi severi al Conservatorio di Stoccolma.
Una voce che nemmeno Wagner si sarebbe sognato per i suoi drammi e di quelle che oggi non esistono più: unica quanto a fraseggio vigoroso, temperamento drammatico, tecnica impeccabile, estensione e omogeneità di un suono potente quanto pieghevole, come ribadisce la figura di Isolda: su disco con Georg Solti con una perfezione assoluta.
La voce della Nilsson taceva ormai da decenni. Nel ’98, però, quando James Levine e il Metropolitan di New York a lei tanto caro, ricordarono i suoi ottant’anni, riuscì ancora ad accennare, salutando spavaldamente il pubblico, il grido di guerra delle Valchirie.
D’altronde, dopo Kirsten Flagstad, nordica come lei (norvegese) era stata la valchiria Brunnhilde per eccellenza, a teatro e su disco, nel tempio sulla collina di Bayreuth sacro a Wagner e in un’integrale dell’Anello del Nibelungo con Solti per la Decca di insuperabile bellezza sonora e teatralità a distanza di quasi mezzo secolo.
Legata al mondo tedesco, aveva esordito nel ’46 come Agathe nel Franco cacciatore di Weber. Il suo primo personaggio wagneriano lo aveva cantato due anni dopo: Senta nel Vascello fantasma. Carriera folgorante, già a metà degli anni Cinquanta era una star internazionale e dal repertorio ampio: Anna nel Don Giovanni al San Carlo di Napoli, Fidelio, Macbeth e Turandot alla Scala. Passava da Salome o Elektra di Richard Strauss a Turandot, appunto: una principessa dalle algidità astrali e remote come nessun’altra (in disco anche con Corelli, la Scotto e Molinari Pradelli per la Emi).


Quanto al repertorio italiano incarnava anche una Lady Macbeth di valenza espressionista ed era una Minnie, nella Fanciulla del West, senza problemi in quella tessitura così scomoda. Da professionista super, per quella registrazione, la parte di Minnie era riuscita a studiarla e metabolizzarla in una settimana soltanto.

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