Munari, l’arte è un gioco da bambini

Ma dove avrò lasciato le chiavi di casa? Il cellulare squilla, lo sento, ma dove si è infilato? Eccolo, era in fondo al pacchetto delle gauloises. Però quell'ultima sigaretta, la ricordo, dov'è finita? Eccola, è già accesa, vedo le braci laggiù, sotto il tramonto...
«Talvolta cerchi qualcosa in un cassetto e invece è in un'altra tasca». Eccolo, Bruno Munari: tutto autobiografato in questa sua frase. E noi, gente del Novecento che non trova mai le cose dove le lascia, dal desiderio ardente sempre altrove, eccoci descritti insieme a lui. Talvolta cerchi Munari tra i suoi oggetti di design e lo incontri invece seduto in mezzo ai bambini, ridente e giocoso, le mani sporche di quei colori per dipingere con le dita, che gli adulti dovrebbero usare più spesso anche per scrivere lettere d'affari. Talvolta ti dicono che Munari è in viaggio verso il Giappone, paese che molto amò e di cui approfondì la cultura facendosene contagiare, e allora puoi star sicuro che invece si è rifugiato in casa di qualche amico sulle montagne del lago di Como, per girare un film d'avanguardia. Altre volte cerchi ancora Munari tra le copertine e le illustrazioni dei libri Mondadori - per cui lavorò come grafico tra il 1939 e il 1945 - e ti accorgi che è molto più facile trovarlo al bar Salto, a Milano, intento a fondare nel primo dopoguerra il Movimento Arte Concreta, insieme a Dorfles, Mazzon, Soldati, Monnet. E se qualche medico prolisso e serioso vi dice che un triste mercoledì del 1998 il suo cuore cessò di battere, ecco, questa è una enorme panzana: Bruno Munari, oggi, sta solo piegando forchette di nascosto in qualche negozio di liste nozze.
Non è ubiquità, non è immortalità, è solo gioia bambina. Lo stupore continuo di stare al mondo: «All'improvviso, senza essere stato avvisato da alcuno, mi trovai completamente nudo, in piena città di Milano, la mattina del 24 ottobre 1907. Mio padre aveva contatti con le più note personalità della città, essendo cameriere al Gambrinus. Mia madre si dava delle arie ricamando ventagli», scriveva il diretto interessato nel 1983, descrivendo il personalissimo, puntiforme inizio di una incantevole carriera di artista, designer, grafico e scrittore di libri, moltissimi per l'infanzia.
Proprio quest'ultimo coté di Munari è di scena oggi alle 19 - e per i prossimi due giovedì - al Triennale Design Museum (che, insieme al resto della Triennale, rimarrà aperto fino alle 23 ogni giovedì con biglietto a prezzo speciale, aperitivo incluso): verranno proiettati documenti video che illustrano come il maestro (ma sarà poi giusto chiamarlo così?) era capace di insegnare ai bambini, con divertita complicità, il segno e la texture, la forma e la fotocopia, il colore e il collage. «La grandezza di Munari, ci spiega la direttrice del museo Silvana Annicchiarico, è proprio quella di rendere accessibile grandi concetti ai bambini. Durante le lezioni tirava fuori sassi, carta, tessuti, mostrava la perfezione delle arance o l'incessante lavorio del mare, creava un paese delle meraviglie, faceva osservare il mondo anche a noi adulti come se lo vedessimo per la prima volta, e proprio alla fine di tutto questo, ecco, la realtà era restituita sotto forma di progetto».
Questi video eccezionali verranno trasformati dalla casa editrice Corraini - che di Munari ha pubblicato, tra gli altri, gli eccentrici Nella nebbia di Milano, Un fiore con amore, Da lontano era un isola, nonché, quest'anno, il paradossale Verbale scritto - in dvd.

Quando li metterete nel lettore, non dimenticate di «distrarre la macchina facendola funzionare in modo irregolare», come suggeriva Munari. «Inventerete così un'opera d'arte con le stesse macchine, con i loro stessi mezzi». Più Novecento di così.

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