Roma - «Certo: vedere dei professori d’orchestra seduti sulle panchette di un aereo militare, come altrettanti paracadutisti pronti al lancio, fa una certa impressione». L’immagine è di quattordici anni fa; ma l’impressione è sempre la stessa. «Scoprire quanti effetti produce la musica, ogni volta che venga portata là dove sembra non esserci molto posto per lei». Così, dopo Sarajevo, sono venute (fra le altre) Beirut, Gerusalemme, Mosca, Everan, Istanbul, Damasco, il Cairo. Tutti i luoghi-simbolo, insomma de «Le vie dell’amicizia»: l’emozionante concerto con cui, dal 1997, Riccardo Muti chiude il Ravenna Festival. E che quest’anno, a conclusione dell’edizione 2010 (in scena dal 9 giugno al 13 luglio), ribadirà da Trieste il significato civile del progetto artistico.
«Questi concerti servono a sottolineare la potenza della musica - ha spiegato ieri il maestro in viale Mazzini (Raiuno trasmetterà il 29 luglio in seconda serata il concerto registrato il 13 in piazza dell’Unità d’Italia di Trieste) -. La capacità, cioè, che la musica ha di unire fra loro, al di là di nazionalità, religione o colore della pelle, le persone più distanti e magari avverse». E certo Muti pensa alle emozionanti esperienze vissute sul baratro di Ground Zero a New York, «dove il Va’ pensiero fece piangere tutti»; o «allo stesso programma musicale eseguito, a sole 24 ore di distanza, in Armenia e in Turchia»; o agli israeliani e ai palestinesi che vide «commuoversi assieme, ascoltando il Requiem di Verdi. Che è cristiano». La musica può rivelarsi insomma, spiega il maestro, «la più grande delle ambasciatrici. Essa non esprime ideologie, non bandisce proclami. Unisce e basta. Il suono è infatti una vibrazione dell'anima: e fa vibrare allo stesso modo qualsiasi anima, senza distinguerle fra loro».
Naturalmente ricco di significati e rimandi è anche il programma del concerto 2010: «Eseguiremo il Requiem in do minore di Cherubini, compositore che Beethoven considerava il più grande della sua epoca (voleva che proprio questo brano fosse eseguito al suo funerale) e che nacque 250 anni fa. Ricorrenza che in Italia siamo riusciti a far passare quasi inosservata». L’esecuzione sarà affidata, come sempre, a musicisti e coristi italiani uniti a quelli locali: così, dal mare su cui si sono affacciati per secoli di storia (e contrasti) Italia, Slovenia e Croazia, saliranno sul palco musicisti del conservatorio Tartini di Trieste, delle Accademie delle Università di Lubiana e di Zagabria. «E probabilmente accadrà quel che per antica usanza accade sempre alla fine dei concerti dei Filarmonici di Vienna: gli orchestrali si stringeranno tutti la mano. Segno che avranno veramente condiviso, e veramente nel segno di una nuova amicizia, l’esperienza della musica». Il valore civile del progetto consente al maestro Muti (abituato a dirigere le orchestre migliori del mondo) d’ignorare eventuali limiti tecnici delle compagini che si vengono così a creare? «Tutti i musicisti ricevono con molto anticipo gli spartiti da studiare, e si rivelano sempre estremamente preparati. Quando al Cairo diressi il secondo atto dell’Orfeo di Gluck, una musica dietro la quale non si può nascondere alcun limite tecnico, l’esecuzione non rivelò la minima sbavatura».
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