La natura si difende, noi siamo indifesi di fronte ai catastrofisti

Caro Granzotto, a breve sarà l’anniversario del disastro petrolifero nel golfo del Messico. Ha notizie della situazione attuale? Qualche specie di vita marina è riuscita a sopravvivere oppure, come prevedevano i catastrofisti, nelle profondità del mare antistanti la Louisiana e la Florida non si muove più nulla? Ho l’impressione che allora si esagerò di molto e che adesso si stia commettendo lo stesso errore con il Giappone. Gradirei il suo giudizio in proposito.
e-mail

Tutto sembra essere tornato alla normalità, caro Merlini, e dei danni causati dalla esplosione sulla piattaforma Deepwater Horizont non si scorge traccia, nel Golfo del Messico. Però, siccome gli ambientalisti di area menagramo sostengono che non si vede più niente perché il greggio disperso dal pozzo «Macondo» giace a mille e 500 metri di profondità e laggiù chissà che cosa succede, aspettiamo. Però possiamo contare su precedenti illustri, come il «disastro ecologico» provocato, giusto vent’anni fa, dalla petroliera Exxon Valdez. Allora come nel caso della Deepwater Horizont si parlò di danni irreversibili alla fauna marna e terrestre, di specie animali sul punto di estinguersi se non già estinte e dello Stretto di Prince William, in Alaska, ridotto per l’eternità a morta gora. Bene, quindici anni dopo l’incidente (dopo la «catastrofe ecologica») un serio studio rivelò che tutto era tornato come prima. Un dubbio solo, sul destino di certe anatre, le Morette arlecchine. Prima del fattaccio se ne contava, all’intorno, una colonia di 14mila e rotti esemplari. Parte dei quali sono spariti, ma non si sa se vittime della marea nera o perché, proprio a causa della marea nera, avessero scelto un altro habitat. Anche con la Exxon Valdez, a costo di immani sforzi si riuscì a precipitare il greggio in fondo al mare, dove non è fuori luogo essendo gli idrocarburi un elemento naturale, non un insieme di buste di plastica non biodegradabili. La faccenda più difficile e costosa da portare a termine fu la pulizia delle coste. Rimuovere il petrolio saldatosi alla roccia o assorbito dalla sabbia. Lo stesso problema, d’altronde, creato - e risolto - dalla Deepwater Horizont. Quello di maggior impatto visivo (con l’immancabile gabbiano o cormorano impiastricciato) e capace di compromettere, nel caso del Golfo del Messico, ovviamente, non di quello della gelida Baia di Williams, una stagione turistica.
Come lei ben sa, la natura, l’ecosistema sa difendersi bene, caro Merlini. Dopo un incendio un bosco cresce più vigoroso. Il mare di Rimini e Riccione può tranquillamente smaltire, senza che ne resti traccia, le migliaia e migliaia di ettolitri di pipì che i villeggianti quotidianamente vi riversano alla chetichella e proprio lì, dove si tocca. Questo non significa che si debba esultare per le gesta dei piromani, per quelle dei turisti incontinenti o per il naufragio delle petroliere. Ma nemmeno farne un dramma di proporzioni planetarie e con conseguenze catastrofiche, millenariste. Quanto alla centrale di Fukushima e alle micidiali conseguenze (anche in Italia!) della fuoriuscita di materiale radioattivo, mi limito a ripetere, ancora una volta, quanto segue: il 6 agosto del ’45 Tsumotu Yamaguchi si trovava per affari a Hiroshima, proprio quando l’Enola Gay sganciava l’atomica.

Fu però fortunato e riportò solo delle ustioni. L’indomani decise di tornarsene a casa sua, a Nagasaki. Vi arrivò mentre l’altro B-29 sganciava la seconda delle atomiche. Tsumotu Yamaguchi è morto l’anno scorso, novantaquattrenne.
Paolo Granzotto

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica