A dispetto del titolo, 2050, non è un romanzo di science fiction, anzi: è un saggio rigorosamente scientifico. Un libro non futuristico, ma sul futuro, come mette in guardia l’autore, Laurence C. Smith, professore di Geografia e Scienze della terra e dello spazio all’Università di California, Los Angeles. Uscito lo scorso anno negli Stati Uniti e arrivato da noi poche settimane fa col sottotitolo Il futuro del nuovo Nord (Einaudi, pagg. 382, euro 30), 2050 racconta (e la scelta del verbo ha qualche importanza, visto che non si tratta di una fredda analisi «matematica» di dati e ricerche, ma di un’interessante lezione tenuta da un buon insegnante che spiega e contestualizza con mille esempi i dati e le teorie citate) come sarà, o perlomeno come potrà essere, il nostro pianeta fra una quarantina d’anni. Nulla di futuristico o di assolutamente inatteso, e nessuno scenario particolarmente catastrofico. Piuttosto una naturale e intuibile evoluzione dell’attuale situazione geofisica del pianeta, basata sulle analisi più recenti delle dinamiche del clima, delle riserve di materie prime, dell’età delle popolazioni e della crescita (o decrescita) economica.
E così, partendo da una curiosa notizia di cronaca che in realtà nasconde uno straordinario dato scientifico - l’abbattimento nel 2006 sull’isola di Banks, in territorio canadese, nel Mare Glaciale Artico, di un animale mai visto prima in natura, un incrocio nato da un maschio di grizzly e da una femmina di orso polare, un importante indicatore biologico del fatto che sul nostro pianeta sta succedendo qualcosa di grosso - Smith fotografa il mondo «prossimo venturo» incrociando e analizzando i dati più diversi: la popolazione mondiale in crescita rapida e costante (l’Onu la stima in 9 miliardi nel 2040), molte specie selvatiche che stanno scomparendo e altre soggette a mutazioni genetiche, le diverse degradazioni cui è sottoposto l’ambiente naturale, eventi climatici assolutamente nuovi (l’eccezionale stagione degli uragani atlantici nel 2005, o la snowapocalypse che nel 2010 coprì di neve le coste orientali degli Stati Uniti), il costo continuamente in aumento delle risorse naturali, dal petrolio all’acqua fino al gas...
In un libro che parla di città-formicaio (nel 2050 ci saranno 27 megalopoli, ossia città da almeno 10 milioni di abitanti, da Parigi a Tokyo), di acqua, cibo, idrocarburi, petrolio e vento (l’industria dell’eolico si accaparrerà dal 2 al 7 per cento del mercato dell’elettricità mondiale... e non ci sembra un cifra gigantesca), di grandi piogge e grandi siccità (un capitolo si intitola «La California a secco, Shangai a mollo»...), il professor Laurence C. Smith, geografo con il dono della scrittura, dopo averla studiata e percorsa in lungo e in largo per diversi anni fotografa la Terra del 2050: un mondo dominato, ed ecco spiegato il sottotitolo, dal «nuovo Nord». In sostanza, le nazioni più vicine al Circolo Polare Artico diventeranno sempre più floride, potenti e stabili politicamente mentre i Paesi equatoriali dovranno affrontare drammatici problemi di carenza idrica, un invecchiamento della popolazione e pericolose tensioni sociali.
Al netto di terze guerre mondiali (improbabili), di pandemie letali (non del tutto impossibili), e di cataclismi su scala planetaria come collisioni con meteoriti o scontri con civiltà extraterrestri (che sono fattori imponderabili), e non considerando svolte tecnologico-scientifiche rivoluzionarie dagli effetti imprevedibili, nei prossimi decenni il quarto settentrionale delle latitudini del nostro pianeta subirà una straordinaria trasformazione: ospiterà una maggiore concentrazione umana, avrà un maggior valore strategico dal punto di vista geopolitico, e grazie a nuove e frenetiche attività commerciali otterrà un peso economico molto superiore rispetto a oggi. L’autore lo chiama il «nuovo Nord», ed è l’area costituita dalle terre e dagli oceani che si estendono dal 45º di latitudine Nord in su, e che attualmente appartengono a Stati Uniti, Canada, Islanda, Groenlandia (Danimarca), Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia.
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