Nelle scrittrici la speranza delle nuove donne arabe

Oltre gli stereotipi e i luoghi comuni, la figura femminile è il termometro della libertà nei Paesi musulmani

da Torino
«Non è che Israele ha paura di perdere con la nazionale iraniana e che l’atomica non c’entra nulla?». La battuta è di Farian Sabahi, docente della Bocconi, storica e giornalista. Figlia di padre iraniano e madre italiana, Farian Sabahi cerca di alleggerire i toni. Poi rilancia: «Propongo di invitare in Germania per i mondiali tutte le donne iraniane. Anzi, perché non diamo loro la possibilità, attraverso borse di studio ad hoc, di frequentare le università europee?». L’istruzione, alle donne che vivono in Iran, non manca: il 63 per cento delle matricole universitarie persiane è donna. Mancano altre cose. E della complessità del mondo mediorientale declinato al femminile cerchiamo di parlare. «C’è un aspetto quasi perverso e una spiccata curiosità per il diverso nell’attenzione che gli italiani hanno nei confronti delle donne arabe, anzi delle donne arabe con il velo», spiega Sabahi, di cui il Saggiatore manderà in stampa il prossimo mese Islam: l’identità inquieta d’Europa, reportage tra le comunità musulmane d’Occidente.
Della donna araba si parla molto ma, almeno qui in Italia, non sempre a dovere: «Nei giornali e nella pubblicistica c’è la tendenza a cercare la storia scandalo tipo Mai più senza mia figlia, il libro che tutte le persone mi citano quando spiego di che cosa mi occupo - continua Farian Sabahi -. La preoccupazione per la situazione della donna araba è legittima e il racconto di casi come quello citato doveroso, peccato che la normalità non interessi affatto». Che cos’è allora, per un’araba, la normalità? «La donna araba non è per definizione una vittima da salvare», risponde Nacéra Benali, giovane giornalista algerina corrispondente della radio nazionale e del quotidiano indipendente El Watan, che significa La patria. Suona strano, detto da lei. Nacéra Benali vanta due tristi primati: è stata la prima (e unica) giornalista donna incarcerata dalle autorità algerine e la più giovane cronista condannata a morte dal Gruppo Islamico Armato nel 1994. Da dieci anni vive a Roma e, ora che il peggio è passato, si divide tra la capitale e Algeri. «Pur in una società retrograda e conservatrice, la donna araba ha fatto importanti passi avanti - dice -. Ammetto però con dolore che in Algeria il vento del cambiamento soffia lentamente». Secondo la giornalista, che ha pubblicato un interessante libretto (Scontro di inciviltà, Sperling & Kupfer), grande merito all’emancipazione della società spetta alle scrittrici di lingua araba che, spesso in maniera più coraggiosa dei loro colleghi uomini, hanno raccontato argomenti tabù: «In Italia abbiamo un panorama limitato della cultura femminile araba - sostiene -: con le dovute eccezioni, mancano le traduzioni di tante penne di talento. Perché nessuno ha ancora pubblicato Ahlam Mostaghanemi, un’autrice che ha sfornato diversi best-seller di alto valore letterario?».
Più che alla letteratura araba femminile vera e propria l’Italia pare più interessata a una sorta di sociologia. Sì, ma dell’ovvio. «Non sopporto una certa tuttologia islamica di moda di questi tempi», commenta ancora Farian Sabahi. La comprensione dell’Islam, e in particolar modo di alcune tematiche calde come quella sulla condizione femminile, in Italia è stata condita con la salsa sbagliata: lo dice anche Nacéra Benali, stanca di sedicenti opinionisti. Non si riferisce agli italiani ma - senza fare nomi, beninteso - a «improvvisati esperti senza alcuna qualifica né qui né nel loro Paese». Le donne musulmane, per emanciparsi, non hanno bisogno di questo. Avrebbero bisogno di maggiore (e disinteressata) attenzione e anche di qualche intervento deciso: «Mi rivolgo alle politiche italiane di entrambi gli schieramenti - spiega -: non lasciamo sole le immigrate, non abbandoniamole a genitori arretrati e integralisti. Cominciamo a fare qualcosa per la seconda generazione di extracomunitarie che spesso, confrontando la vita fuori e dentro casa, conducono un’esistenza schizofrenica».
Studiosa del femminismo arabo - inteso come lotta per l’acquisizione di maggiori diritti nel rispetto della tradizione e dei principi islamici - Farian Sabahi punta sulla cultura e sull’informazione: «Auspico che aumenti la pubblicazione delle opere di autrici mediorienali in Italia».

Con Anita Molino, che dirige la piccola casa editrice «Il leone verde edizioni», si è battuta per presentare alla prossima Fiera del Libro di Torino il romanzo La casa sull’orlo del pianto della libanese Venus Khoury Ghata, solo settanta copie vendute sinora in Italia per quello che è considerato un capolavoro tradotto in molte lingue. Ironia della sorte: Jasmine, figlia di Venus, ha invece conquistato i lettori nostrani con La notte dei calligrafi (Feltrinelli).

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