Giuseppe De Bellis
New York si sveglia con langoscia. Non ricorda più che cosa vuol dire uno sciopero. Conosce il caos, ma non la paralisi. Sono venticinque anni che non cè: dal 1980 la metropolitana, i bus, i treni leggeri hanno viaggiato sempre. Sempre e in orario. Anche il giorno del black out di ferragosto 2003. Cerano gli autobus. Pieni, ma cerano. Adesso no: stamattina Manhattan, Brooklyn, Queens, Staten Island e Bronx si muovono a piedi e in bicicletta. Sono almeno dieci milioni di persone, pendolari compresi. Lo sciopero arriva: 33.700 dipendenti della Metropolitan Transportation Authority stanno a casa. Venticinque anni dopo, limmobilità.
Lultima foto di New York senza mezzi di trasporto è di quellaprile del 1980: allora i mezzi pubblici non funzionarono per undici giorni. Fu una tragedia cittadina che costò tre milioni di dollari. Perché con lo sciopero, a New York un terzo dei pendolari non riesce ad arrivare in ufficio. Così non lavora. E quindi le aziende perdono. Il sindaco dallora Ed Koch riuscì solo a strappare il contentino di una multa alle unioni sindacali: furono costrette a pagare un milione di dollari per i disagi creati alla popolazione. Anche stavolta andrà così: la sanzione per il sindacato è certa. È la consolazione, perché una multa non basta a ridare fiato a una città che senza mezzi pubblici rischia il collasso. Secondo un sondaggio effettuato dal quotidiano gratuito Metro, il 67,3% dei newyorkesi teme di «non farcela» ad andare al lavoro in caso di sciopero. Solo il 12,3% pensa di poter raggiungere l'ufficio a piedi, mentre il 9,1 conterebbe sul taxi. Ma dal sindaco Michael Bloomberg arrivano alcune disposizioni che pongono severe limitazioni al trasporto privato, per evitare il rischio di blocco della circolazione. In particolare, sarà consentito l'accesso in Manhattan e nelle strade principali solo ad auto con almeno quattro passeggeri a bordo, tra le 5 e le 11 del mattino nei giorni compresi tra lunedì e venerdì. I taxi sono invitati ad accettare più corse contemporaneamente, mentre i veicoli commerciali dovranno restare fuori da Manhattan nelle mattine dei giorni feriali. In alcuni punti della città saranno messe a disposizione biciclette, e alcune strade resteranno parzialmente chiuse alla circolazione, accessibili solo a veicoli d'emergenza, bus e moto.
Il fatto è che in America uno sciopero comincia, ma non ha una fine certa. Si va avanti a oltranza fino a quando non si raggiunge un accordo. Quello che nel 2002 fu trovato mezzora prima dellinizio della protesta. Adesso laccordo sembra lontano: il sindacato ha accettato di fare un passo indietro nelle richieste di aumento salariale (l'8% all'anno per i prossimi tre anni), in cambio di una riduzione delle azioni disciplinari abitualmente prese nei confronti dell'unione dei lavoratori e che vanno a intaccare sensibilmente le buste paga. Da parte sua, la Mta non è disposta a trattare sul fronte dei salari dei suoi 33.700 dipendenti: costerebbero 550 milioni di euro fino al 2008: il responsabile dei negoziati per la società, Gary Dellaverson, non nasconde la gravità della situazione. Ma le tensioni sono alimentate anche dalla decisione del consiglio di amministrazione della Mta di approvare il budget da 9,3 miliardi di dollari per il 2006, budget che già include piani di spesa per l'attuale surplus di 700 milioni di dollari di cui gode la Mta (derivante da guadagni straordinari realizzati sul mercato immobiliare). «Pensiamo sia un insulto per tutti i dipendenti che la Mta decida di spendere soldi in eccesso senza interpellare il sindacato», fanno sapere i lavoratori. La Mta si difende. Dice che si tratta di un guadagno una tantum e che le previsioni per i prossimi anni parlano di perdite per centinaia di milioni di dollari. La situazione è complicata: lo sciopero è un diritto, ma a New York i dipendenti pubblici non possono danneggiare la città. È la legge Taylor che negli anni Sessanta fu approvata dopo uno sciopero. Il giudice della corte suprema di Brooklyn dello Stato di New York, Theodore Jones, quella legge lha rimessa in gioco: vieta lastensione dal lavoro nel pubblico impiego.
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