Milano - Dall’alto in basso: Milano, Venezia, Torino, Roma, Napoli, Catania. Cambierà, con la Nuova Alitalia, anche il ruolo degli aeroporti italiani. Perché il piano Fenice prevede, al posto dei due hub che fino a un anno fa hanno contraddistinto il network di Alitalia, un sistema «multibase», articolato, appunto, sui sei aeroporti principali. Un sistema policentrico, simile a quello esistente, per esempio, in Germania, che trae la sua logica da due presupposti: la rinuncia al sistema «hub and spoke» (la concentrazione del traffico in uno scalo di smistamento), e la conformazione allungata della Penisola. In Italia un piano degli aeroporti negli ultimi vent’anni non è mai stato attuato, e la crescita degli scali, parallela a quella delle compagnie low cost, ha creato un sistema spesso irrazionale per il territorio. Gli aeroporti commerciali sono 37, non sono mai stati «classificati», e spesso si fanno concorrenza tra di loro.
I progetti della Nuova Alitalia potranno rimescolare le carte. Una base è un aeroporto nel quale risiedono aerei, equipaggi e manutenzione di linea (quella che provvede ai controlli quotidiani). Il network della compagnia si concentrerà nei sei scali prescelti, mentre si alleggerirà sugli altri. Si possono anche imbastire dei calcoli, sulla base dei dati finora noti. L’attale flotta di Alitalia più Air One conta all’incirca 220 aerei, che scenderanno a 137 con la Nuova Alitalia: si perderanno una sessantina di aerei di medio raggio. Visto che ciascuno di questi fa sei voli al giorno, l’offerta di Alitalia sarà ridotta, all’incirca di 360 voli quotidiani. A scapito soprattutto degli aeroporti nei quali non sarà creata una base, da Verona a Bologna, da Bari a Genova.
Questo significa che in questi scali si libereranno spazi che potranno essere occupati da nuovi operatori (infatti le richieste «straordinarie» di slot ad Assoclearance, in questo periodo, hanno riguardato un po’ tutti gli aeroporti italiani). Dove c’è domanda, è inevitabile che l’offerta si adegui.
Il sistema multibase per la Nuova Alitalia significa anche notevoli risparmi di costi: perché il personale dovrà risiedere nei pressi dello scalo e raggiungerlo con mezzi propri. Alitalia è sempre stata una società romanocentrica, e questa sua trasformazione sarà sicuramente delicata dal punto di vista delle relazioni sindacali. Parte del personale verrà trasferito, e molti resisteranno. Potranno esserci licenziamenti e riassunzioni; anche in questa chiave va letta la disponibilità di Cai al riassorbimento di mille precari nei prossimi tre anni. Se così non fosse - se cioè il personale non vivesse nei pressi delle basi - si replicherebbero gli sprechi già visti in questi anni a Malpensa, dove ogni mattina arrivavano gli aerei da Roma con gli equipaggi pronti a prendere servizio sui voli di lungo raggio.
Per ora, il sistema aeroportuale sta vivendo con difficoltà la crisi di Alitalia perché i crediti per 200 milioni vantati dalle società di gestione sono passati all’amministrazione straordinaria, con procedure di liquidazione diverse e gravate di qualche incertezza. «Solo a Bari, siamo esposti per 6 milioni - spiega il presidente di Aeroporti di Puglia, Domenico Di Paola, che è anche presidente di Assaeroporti - e sto valutando, insieme ai legali, la possibilità di chiederne conto a Sky Team». La determinazione di Di Paola ha un precedente visibile: sul prato dell’aeroporto di Bari è fermo un aereo di Alpi Eagles, del quale Aeroporti di Puglia ha ottenuto il sequestro, autorizzato dall’Enac, in virtù dei propri crediti nei confronti della compagnia.
Quanto al piano Fenice, Di Paola non si sbilancia: «Valuteremo a posteriori.
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