Nikolaj Dobronravov

Nacque nel 1863 nel governatorato di Mosca e studiò in questa accademia teologica. Alla fine degli studi venne ordinato sacerdote e incaricato dell’insegnamento nel seminario. Per qualche tempo resse una parrocchia a Perm’ e nel 1892 cominciò a insegnare religione in un ginnasio moscovita. Era parroco nella chiesa di Tutti i Santi a Mosca quando scoppiò la rivoluzione bolscevica. Quantunque fossero note le sue idee liberali e la sua distanza dai conservatori, nel 1918 venne arrestato dai comunisti. Tornato in libertà, nel 1921 fu consacrato vescovo di Zvenigorod e, due anni dopo, gli fu conferito il titolo di arcivescovo e assegnata la cattedra episcopale di Vladimir e Suzdal’. Lo spettacolo della rivoluzione, che aveva ogni giorno sotto gli occhi, a poco a poco aveva contribuito nel frattempo a ridimensionarne le idee, tanto che nello stesso 1923 venne arrestato di nuovo. Questa volta lo deportarono in Siberia, nella regione di Turuchansk. Due anni di prigionia, poi fu posto a riposo d’autorità. Tornato a Mosca si dedicò esclusivamente all’attività di scrittore religioso e teologo, senza prendere posizione, quantunque gran parte del clero si fosse schierato contro la politica di appaisement lanciata dal metropolita Sergij nei confronti del nuovo regime.

Ma poi venne il tempo di Stalin e finì che nel 1937, come scrive Il’ja Semenenko-Basin nel suo Eternamente fiorisce (La Casa di Matriona), l’arcivescovo Nikolaj fu ancora arrestato, messo al muro e fucilato a Butovo, presso Mosca. Settant’anni di martirio avrebbero dovuto affratellare ortodossi e cattolici. Invece...

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