Lui era vedovo, settantacinque anni. Lei single, poco più giovane. Italiani, come molti di coloro che si mettono in fila per la pasta, la doccia, un vestito, un dottore. Si sono incontrati alla mensa dell'Opera san Francesco di Corso Concordia e si sono sposati. Una storia lieta, in mezzo a tante vite rese più dure dalla crisi. «Spesso ci viene chiesto: sono tanti gli italiani? È veramente un problema così grave? Purtroppo la risposta è sì e i numeri parlano da soli» dice padre Maurizio Annoni, responsabile dell'Opera San Francesco.
Se ha senso una classifica della povertà, nel 2013 ogni otto nuovi arrivi uno è italiano. Mille su ottomila accolti dai frati cappuccini, gli italiani sono secondi solo ai rumeni. Ci sono poi egiziani, marocchini, migranti dal Corno d'Africa, da Ucraina e Bulgaria, dall'Ecuador. Povertà materiali, spesso unite a solitudine e depressione. Angoscia per il lavoro che non c'è e il tetto che manca. Migliaia le richieste di parlare con uno psicologo, perché la sofferenza interiore paralizza e la miseria diventa invincibile.
È una mattina come tante, di file dense in cui le storie si mescolano. Il centro di accoglienza è in pieno centro e questo fa parte della sua storia e della sua missione. «Il povero non è una persona da nascondere allo sguardo ma da vedere e incontrare» dice fra Maurizio, guida tra il guardaroba, le docce e la mensa. Relazioni personali coltivate ogni giorno insieme ai controlli. Per entrare serve una scheda. Ognuno ha il suo profilo: anni di sofferenza, sogni e bisogni. «Sono molto aumentati gli anziani, molto anziani, e le donne» racconta la suora della carità di santa Giovanna Thouret che da vent'anni accoglie le persone. «C'è anche gente molto ammalata. Chi sta facendo la chemio. Un uomo con una piaga estesa come una cancrena. Un magrebino, padre di tre figli, è in dialisi: va in ospedale e poi viene a fare la doccia».
Adolfo ha 90 anni, occhi azzurri pieni di lucidità, è originario di Quistello, in provincia di Mantova, da un anno ha anche lui la tessera per mangiare e vestirsi: «Ero operaio chimico e ho una pensione di 850 euro. Abito in una casa di mia nipote e con un po' di economia riesco a farcela. Ma non posso lavarmi da solo a casa, perché se mi siedo sulla vasca, non riesco a rialzarmi. Qui mi assistono, mi trattano bene, sono volontari col cuore». Marisa ha 66 anni, la casa popolare allagata, 520 euro di pensione, affitto e condominio da mantenere, la luce e il gas «pago tutto, non voglio debiti. Ma in questo periodo è difficile: ho la gamba gonfia e tra due mesi mi devo operare, ho i tubi rotti in bagno e vengo qui a fare la doccia. È un piacere incontrare queste persone, però sono giù di morale».
Molti giovani uomini che hanno perso il lavoro. Rabbia e impotenza, scarsa voglia di parlare. «Sono nato in Mangiagalli nel 1976 - racconta Augusto -. Ho la casa ma non ho più il lavoro: fino a tre anni fa facevo il magazziniere». Andrea, classe 1975, lo chiamano padre Pio per la barba bianca: «Sono nato a dieci chilometri da Cernusco, facevo il muratore, ora dormo in tenda». Le persone che passano la notte in luoghi senza elettricità sono così tante che i frati distribuiscono candele a getto continuo.
Nicola, 49 anni, è nato a Vigevano, poi è andato a vivere a Salemi, si è sposato con una donna slovacca: «Avevo un bel lavoro al Comune, ho perso tutto per l'alcol. Lei se ne è andata con i miei figli. Abito in un convento abbandonato a Vigevano, senza acqua né luce. Qua mangio due volte al giorno e mi vesto. Non ho più neanche un soldo, mi sono tolto tutti i vizi».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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