Offensiva liberale contro la jihad

Margherita Boniver*

Il timore di smarrire la propria identità è tipico di tutte le età di transizione. Oggi la crisi ci appare particolarmente grave: sono scomparsi i vecchi concetti di sicurezza e di equilibrio legati al mondo degli Stati nazionali.
Ma se cedessimo alla tentazione di rinchiuderci in una visione difensiva dell’identità europea, daremmo una mano a Bin Laden nella sua battaglia contro la nostra civiltà.
Il terrorismo jihadista ha oggi due involontari alleati in Occidente. Uno è il «relativismo culturale» che nega la possibilità di valori assoluti e vuole che ciascun popolo sia lasciato vivere secondo le proprie tradizioni, anche se ciò comporta sofferenza e umiliazione per i più deboli (si pensi, ad esempio, al caso dell’infibulazione). L’altro è il concetto di «scontro delle civiltà», in base al quale l’Occidente deve essere consapevole della non universalità dei propri valori e, conseguentemente, difendersi come una parte in campo contro altre «parti». In entrambi i casi, infatti, si nega l’universalità della democrazia e dello Stato di diritto.
Il presidente del Senato Marcello Pera ha fatto molto bene a sollevare la questione «dell’orgoglio identitario» dell’Occidente. Il «rispetto» (ha ragione: «rispetto» suona meglio della paternalistica «tolleranza») per le altre culture e civiltà, il primato dell’individuo e la libertà di coscienza non sono atteggiamenti comuni a tutte le civiltà e a tutte le culture, ma sono il contributo fondamentale che l’Occidente ha dato all’umanità.
Ma il grande merito della civiltà occidentale consiste nell’affermare anche l’universalità di quei valori. Ci pare emblematico il caso della «dignità», che nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è collocata non a caso al primo posto, prima della vita. Si tratta dell’idea che i diritti non sono una concessione o il frutto dell’elaborazione intellettuale di qualcuno, ma il «riconoscimento» (come anche la nostra Costituzione dice) di qualcosa di intangibile e di universale.
Non dobbiamo abbandonare l’idea che l’islam sia compatibile con lo Stato di diritto (pensiamo, ad esempio, alla storia della Turchia). Il mondo islamico è complesso ed è ricco non solo di minacce, ma anche di fermenti innovativi, come dimostra la grande vitalità degli intellettuali islamici, in Italia e in Europa. Se ci rassegnassimo all’idea dello «scontro delle civiltà» potremmo riuscire nell’impresa che a nessun grande leader musulmano è mai pienamente riuscita: riunificare la umma – con tutte le sue componenti «deterritorializzate» – contro l’Occidente.
Teniamo presente che gran parte dei musulmani italiani, in relazione alla recente vicenda della scuola milanese di via Quaranta, s’è mostrata contraria alla creazione di un circuito formativo isolato rispetto alla vita scolastica e culturale del Paese. Costoro vogliono che i loro figli imparino l’italiano, che conoscano e padroneggino non solo la storia del nostro Paese, ma anche le sue leggi e i suoi meccanismi sociali. Non vogliono, giustamente, «assimilarsi», ovvero rinunciare alla propria storia, ma certamente vogliono «integrarsi». Così pure, i musulmani, nella loro stragrande maggioranza, non vogliono essere rappresentati da imam che catturano la popolarità dei giornali grazie alle loro posizioni estremistiche e provocatorie. Anche perché gran parte di questi imam non hanno né autorità né rappresentatività. In questo senso, l’iniziativa del ministro dell’Interno di una Consulta islamica, aperta agli intellettuali e ai moderati, ma chiusa agli integralisti, è senza dubbio da condividere e sostenere.
Insomma, credo che la strada da seguire sia quella delle risposte progressive e non regressive alle sfide società multi-etnica.

E, se le parole «dialogo» e «confronto» suonano desuete, allora parliamo di «offensiva» liberale nei confronti del mondo islamico.
*Sottosegretario agli Esteri

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