Offensiva liberale contro la jihad
30 Settembre 2005 - 00:00Margherita Boniver*
Il timore di smarrire la propria identità è tipico di tutte le età di transizione. Oggi la crisi ci appare particolarmente grave: sono scomparsi i vecchi concetti di sicurezza e di equilibrio legati al mondo degli Stati nazionali.
Ma se cedessimo alla tentazione di rinchiuderci in una visione difensiva dellidentità europea, daremmo una mano a Bin Laden nella sua battaglia contro la nostra civiltà.
Il terrorismo jihadista ha oggi due involontari alleati in Occidente. Uno è il «relativismo culturale» che nega la possibilità di valori assoluti e vuole che ciascun popolo sia lasciato vivere secondo le proprie tradizioni, anche se ciò comporta sofferenza e umiliazione per i più deboli (si pensi, ad esempio, al caso dellinfibulazione). Laltro è il concetto di «scontro delle civiltà», in base al quale lOccidente deve essere consapevole della non universalità dei propri valori e, conseguentemente, difendersi come una parte in campo contro altre «parti». In entrambi i casi, infatti, si nega luniversalità della democrazia e dello Stato di diritto.
Il presidente del Senato Marcello Pera ha fatto molto bene a sollevare la questione «dellorgoglio identitario» dellOccidente. Il «rispetto» (ha ragione: «rispetto» suona meglio della paternalistica «tolleranza») per le altre culture e civiltà, il primato dellindividuo e la libertà di coscienza non sono atteggiamenti comuni a tutte le civiltà e a tutte le culture, ma sono il contributo fondamentale che lOccidente ha dato allumanità.
Ma il grande merito della civiltà occidentale consiste nellaffermare anche luniversalità di quei valori. Ci pare emblematico il caso della «dignità», che nella Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea è collocata non a caso al primo posto, prima della vita. Si tratta dellidea che i diritti non sono una concessione o il frutto dellelaborazione intellettuale di qualcuno, ma il «riconoscimento» (come anche la nostra Costituzione dice) di qualcosa di intangibile e di universale.
Non dobbiamo abbandonare lidea che lislam sia compatibile con lo Stato di diritto (pensiamo, ad esempio, alla storia della Turchia). Il mondo islamico è complesso ed è ricco non solo di minacce, ma anche di fermenti innovativi, come dimostra la grande vitalità degli intellettuali islamici, in Italia e in Europa. Se ci rassegnassimo allidea dello «scontro delle civiltà» potremmo riuscire nellimpresa che a nessun grande leader musulmano è mai pienamente riuscita: riunificare la umma con tutte le sue componenti «deterritorializzate» contro lOccidente.
Teniamo presente che gran parte dei musulmani italiani, in relazione alla recente vicenda della scuola milanese di via Quaranta, sè mostrata contraria alla creazione di un circuito formativo isolato rispetto alla vita scolastica e culturale del Paese. Costoro vogliono che i loro figli imparino litaliano, che conoscano e padroneggino non solo la storia del nostro Paese, ma anche le sue leggi e i suoi meccanismi sociali. Non vogliono, giustamente, «assimilarsi», ovvero rinunciare alla propria storia, ma certamente vogliono «integrarsi». Così pure, i musulmani, nella loro stragrande maggioranza, non vogliono essere rappresentati da imam che catturano la popolarità dei giornali grazie alle loro posizioni estremistiche e provocatorie. Anche perché gran parte di questi imam non hanno né autorità né rappresentatività. In questo senso, liniziativa del ministro dellInterno di una Consulta islamica, aperta agli intellettuali e ai moderati, ma chiusa agli integralisti, è senza dubbio da condividere e sostenere.
Insomma, credo che la strada da seguire sia quella delle risposte progressive e non regressive alle sfide società multi-etnica.
*Sottosegretario agli Esteri