Olmert frena «Shalit libero, poi la tregua»

Ieri mattina era diffusa opinione nei circoli politici militari che il Consiglio dei ministri avrebbe approvato il compromesso negoziato per 18 mesi dall'Egitto fra Israele e Hamas per una lunga tregua a Gaza. Invece fra la sorpresa di tutti (apparentemente anche del negoziatore israeliano Amos Gilad) il governo in una rara dimostrazione di unità ha annunciato che non ci sarà tregua con Hamas, che i valichi non verranno aperti (se non per aiuti umanitari) senza il rilascio del caporale prigioniero dal 2006. Secondo fonti giornalistiche Gilad avrebbe criticato il primo ministro Olmert la cui intromissione dell'ultima ora rischia far perdere faccia e pazienza all'Egitto.
Sul cambiamento di posizione del governo di Gerusalemme è per ora possibile fare solo delle supposizioni partendo da quei pochi punti fissi che hanno alimentato tanto la guerra che il negoziato con Hamas. Il primo di questi è che per le parti in causa - Israele, Hamas ed Egitto - Shalit oltre che un prigioniero di guerra è anche - e soprattutto - un simbolo.
Per il governo Olmert che ha condotto anche in nome di Shalit due guerre inconclusive - quella contro gli Hezbollah libanesi nel 2006 e quella contro i loro alleati a Gaza il mese scorso - la liberazione del caporale è un impegno morale, politico, psicologico preso nei confronti del Paese.
Per Hamas, Shalit rappresenta anzitutto una polizza di assicurazione sulla vita per i suoi dirigenti. Rilasciarlo (ammesso che sia ancora vivo) significa per il «premier» di Hamas, Haniyeh, l'abbandono di una protezione che sino a questo momento sembra aver funzionato. Ma c'è di più: l’altissimo prezzo che Hamas chiede per il rilascio di Shalit dà all'opinione araba la prova che il prezzo in termini umani e di distruzione fisica pagato dall'organizzazione islamica con la rottura della tregua (su ordine di Teheran e della Siria) è stato giustificato dal successo politico nell'imporre la riapertura dei valichi e la fine del boicottaggio economico.
Per gli egiziani, infine, anche se da tempo abituati al modo «irrazionale» di pensare e agire degli israeliani, l'idea che un soldato, destinato comunque a morire in battaglia, possa diventare un ostacolo alla realizzazione di interessi politici superiori è difficile da accettare. L'Egitto ha inoltre bisogno di questa tregua d'armi per dimostrare il suo ruolo di leader nel mondo arabo e di essere l'unico Paese in grado di portare aiuto ai palestinesi.
Il governo israeliano invece non vuol dare a Hamas ragione di vantarsi di aver piegato Gerusalemme alle sue condizioni che sono la riapertura dei valichi praticamente senza condizioni, la fine del boicottaggio, la libertà di continuare ad armarsi attraverso i tunnel scavati sotto la sabbia della frontiera egiziana.

La continuazione dei tiri da Gaza, oltre a giustificare la reazione militare israeliana, permette di mantenere il blocco, di far crescere la tensione interna a Gaza in una popolazione che oggi - a detta dei sondaggi - vorrebbe liberarsi del governo islamico in proporzione di tre contro uno. Rinvia inoltre il momento della «pacificazione» fra Hamas e Al Fatah, che aumenterebbe l'influenza dei radicali islamici in Cisgiordania.

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