Una delle scene chiave del nuovo romanzo di Michael Cunningham si svolge davanti a uno squalo morto. Lo squalo più famoso della storia dellarte contemporanea. Più o meno allinizio di Al limite della notte (Bompiani, pagg. 286, euro 17,50, traduzione di Andrea Silvestri), Peter Harris, il protagonista, fa un salto con lamica Bette Rice al Met di New York. Cè la grande teca con lo squalo di Damien Hirst: The Physical Impossibility of Death In The Mind Of Someone Living. È quello nuovo, il secondo. Il primo squalo era del 1999: quattro metri e mezzo di cadavere di animale imbalsamato con la formaldeide. Ma nel 2003 Hirst si accorse che lanimale si era quasi del tutto decomposto. Prese un altro squalo e rifece tutto daccapo. Nel pieno spirito dellopera: il concetto di eterno trasformato in opera mortale non può che degenerare.
Con il suo squalo, Hirst voleva catturare lattimo che precede la morte, un passaggio che lessere umano non è in grado di razionalizzare ma che, esposto, diventa osceno. Con lo squalo di Hirst, Cunningham vuole catturare linadeguatezza dellarte contemporanea: Bette ha appena confessato a Peter che ha un tumore e la visione di quello squalo offre solo provocazione, nessuna consolazione. Poche pagine prima di affrontare lo squalo morto, il sensibile, instabile, ambiguo gallerista Peter Harris - che impareremo a detestare, affrontare fino a litigarci e digerire come parte di noi - affronta un cavallo morto.
È bloccato in taxi con sua moglie Rebecca. Motivo dellingorgo: un incidente che ha coinvolto, appunto, un cavallo. Peter è ipnotizzato dal cadavere, dalla «puzza di mortalità» di New York. Gli spiace che il corpo sia stato coperto: «Vorrebbe poterlo vedere: i denti gialli esposti, la lingua penzoloni, il sangue nero sul manto stradale. È la classica passione per il macabro, ma anche il desiderio di avere una... prova. Di avere la sensazione che la morte dellanimale non sia stata soltanto un inconveniente per lui e Rebecca, ma che essi abbiano avuto in qualche modo una piccola parte in essa; che la dipartita del cavallo li coinvolga». Chissà se Cunningham si è mai imbattuto in Senza titolo, 2007 di Maurizio Cattelan, il cavallo tassidermizzato esposto in questi giorni alla Fondazione Pomodoro a Milano: nel caso, si sarà accorto che non coinvolge chi lo guarda in un bel nulla.
La bellezza, la salvezza, la morte, sono gli stessi temi del romanzo La carta e il territorio di Michel Houellebecq (Bompiani). Ma quel che è interessante è che entrambi gli autori puntino il dito, in modo diverso, sullarte contemporanea come espressione insufficiente per lumano. Larte, ridotta a rappresentazione, non dà nulla né prende nulla dellanima dellartista Jed Martin, il protagonista di Houellebecq, che rimane sterile e soccombente. E nemmeno sa rispondere alle istanze esistenziali del gallerista di Cunningham: «Con questa o quellaltra mostra potresti aver fatto un millimetrico passo in avanti. Nellestetica? Nella storia dellarte? Bah. Diciamo... Nellincessante sforzo di trovare lequilibrio tra passione e ironia, tra bellezza e rigore, aprendo nel far ciò uno spiraglio nella sostanza del mondo, attraverso cui potrebbe risplendere la verità della condizione umana?».
La condizione umana di Harris è quella di un intellettuale occidentale di mezza età che da troppo non prova il brivido, il turbamento della bellezza. Lo ritrova in un corpo troppo umano, quello del giovane, ex tossico, fulgido e omosessuale cognato Ethan detto Erry, «lErrore». Ma è un «Errore», appunto. Perché è nellarte che lo cercava. Ma gli artisti sono abbrutiti dalla bruttezza e apparirebbero solo «sciocchi» se pensassero di realizzare opere che aspirino allassoluto: «Buongiorno America, buongiorno ipermercati e allevamenti. Ecco il mio tentativo di squarciare la scorza mortale e di vedere ciò che sfolgora dallaltra parte. Non sarebbe qualcosa di terribilmente imbarazzante?».
Se larte può vincere la morte, sembra dirci Cunningham, non è attraverso la provocazione. Ma attraverso un genere di bellezza così feconda damore e partecipazione da aspirare allimmortalità. Oggi lirripetibilità dellopera è in un concetto. Un tempo, era in questa bellezza: «Certe opere darte occupano lo spazio con una risolutezza che è legata ai loro meriti osservabili, elencabili, ma senza ridursi a essi» riflette Peter/Cunningham. «È parte del mistero; è parte del motivo per cui le amiamo così tanto (coloro tra noi che le amano).
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