«Ora faccio l’emigrante ma poi diventerò cattivo»

RomaE se Lino Banfi diventasse cattivo? «È un bel po’ che ci penso. Se interpretassi un personaggio negativo, sia pure involontario? Come Sordi in Un borghese piccolo piccolo: una persona buona che un grande dolore trasforma in mostro». Non solo una stravagante ipotesi: un progetto preciso, con cui il «nonno d'Italia» (che già trasfonde la naturale bonomìa in personaggi più complessi) vorrebbe crescere come attore. «Sto scrivendo il soggetto per farne un film. Magari prodotto dai miei figli. La storia di un nonno a cui dei delinquenti causano un grande dolore: la sofferenza lo travolge, lo spinge ad azioni terribili. E la domanda del film sarà: fino a che punto si tratta di un colpevole, o non piuttosto di una vittima?». Tutti i nonni con la faccia di Banfi - del resto - dietro la calda umanità dell’interprete nascondono realtà più articolate. Come il falegname emigrato in Argentina di Scusate il disturbo: la miniserie diretta da Luca Manfredi, che domenica e lunedì Raiuno trasmetterà in prima serata.
«Un nonno che vorrebbe finalmente godersi la pensione - racconta l’attore - ma che invece è costretto ad affrontare i disastri economici di un figlio irresponsabile, i conflitti con una nuora viziata, l’incomunicabilità con un nipote adolescente. Ho sempre amato le storie che propongono temi importanti. E dietro questa ce ne sono parecchi».
Quali?
«Quello dell’immigrazione, per cominciare. Che mi riporta a tante esperienze personali: a quando a 18 anni, in Piemonte o Lombardia, leggevo cartelli con su scritto: “Non si affittano camere ai meridionali”. A quando con la scolorina corressi il nome del mio paese di provenienza, da Andria ad Adria. A quando, proprio girando questa fiction, ho visto le favelas al centro di Buenos Aires dove vivono ottomila famiglia d’origine italiana. Sono quelli che non ce l’hanno fatta, che si vergognano di tornare sconfitti. E allora fanno i poveri laggiù».
Poi c’è il tema dell’amicizia: quella che lega il burbero protagonista all’immigrato Lino Toffolo, veneto e dolcissimo.
«Credo infinitamente nell’amicizia. E proprio l’amicizia col dolcissimo Toffolo è all'origine del suo personaggio. Doveva essere tanto buono da risultare indisponente: perfetto per lui. Anche perché un veneto cattivo, in una fiction, non funziona. Ve lo immaginate un bandito che intima in veneziano: “Fermi tutti: s'è una rapina”»?
Infine i legami familiari: qualcosa che conta molto anche nella sua vita.
«Quand’ero giovane non li ho avuti fortissimi. Prima c’è stata la guerra; poi, dagli 11 ai 15 anni, m’hanno mandato in seminario. All’epoca, in Puglia, avere in famiglia un prete o un notaio contava. “Agli altri figli miei non va di studiare - disse mio padre -. A Pasquale invece si”. Pasquale ero io. “Ne faremo un prete”. A 18 anni, infine, scappai di casa per seguire la mia prima compagnia di varietà. Ma nei legami familiari mi sono rifatto coi miei figli, Walter e Rossana, con cui condivido tutto. Li faccio partecipi di ogni mia decisione, anche lavorativa. Se in famiglia uno ha il raffreddore, ce l'hanno tutti. Se una fiction ha successo, è un successo di tutti».
A proposito di famiglia: fra tre anni lei festeggerà le nozze d'oro, e ha dichiarato che le piacerebbe che fosse il Papa ad officiare la Messa dell’anniversario.
«Una specie di rivalsa. Con la mia futura moglie avevamo fatto la “fuitìna”; e allora il prete ci sposò per “riparare” quasi di corsa, praticamente di nascosto, alle sette del mattino in una gelida sacrestia. “Forza, forza, sbrighiamoci - diceva - che dopo devo officiare un matrimonio”. “Ma scusi, padre: e il nostro che cos'è?”. Poi io sono credente e praticante. Il Papa l’ho conosciuto a Valencia, per la Giornata Mondiale della Famiglia, dov’ero l’unico attore invitato. Proprio per rappresentare l'unità della famiglia. Una cosa ormai rara, nel mondo dello spettacolo. Il Papa mi ha riconosciuto, mi ha sorriso, è venuto a salutarmi. Mi piace molto».
Quali altri ruoli aspettano «il nonno d'Italia»?
«Intanto il mio ultimo Medico in famiglia. Veramente non volevo fare nemmeno questa sesta serie: tutte le cose buone, prima di logorarsi, devono finire. Poi ho accettato di fare solo sei puntate. Così ogni tanto nonno Libero sparirà perché ha ereditato un trullo in Puglia, e ha deciso di aprirci un agriturismo. E intanto riprenderà il suo posto in famiglia Giulio Scarpati».
Ma nel frattempo l’hanno chiamata a lavorare anche in Germania.
«Sì: per il film tratto da un best-seller che ha venduto un milione e mezzo di copie: Maria non gli piace. Anche qui la storia di un italiano immigrato da cinquant’anni, che in Germania parla male degli italiani, e in Italia dei tedeschi. Finché un tedesco non gli chiede la mano della figlia, e lui gli propone di trasferirsi per un po’ in Puglia, per vedere se riesce ad integrarsi coi terroni così come lui è riuscito ad integrarsi coi crucchi. Un film che è stato un incubo, per me».
E perché?
«Perchè l’ho recitato da cima a fondo in tedesco. Una lingua di cui non capisco un’acca. Così ho letto tutte le battute.

Gli altri attori portavano dei foglietti sul petto, sulla schiena, sulla fronte; io stesso ne mettevo nei cassetti, sulle pareti, sul soffitto. E li leggevo. Ho recitato tutto senza capire nulla di quanto dicevo. Ma pare che io sia piaciuto lo stesso. Tanto che in Germania mi hanno già proposto un altro film».

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