Maurizio Cabona
da Berlino
Gross Deutschland. Il Festival di Berlino premia la nuova dimensione semi-continentale del cinema tedesco, complice una britannica cresciuta nella Germania postbellica, la presidentessa della giuria, Charlotte Rampling. Lex indossatrice - che trentanni fa lavorava per Visconti (La caduta degli Dei, ambientato in Germania), ma anche per Celentano (Yuppi Du) - devessersi ricordata delladolescenza. E il giurato Armin Mueller-Stahl, suo coetaneo e già divo della Ddr, lavrà aiutata.
Nessun premio naturalmente a Romanzo criminale: criminale sarebbe stato darglielo. Unica presenza italiana sul palco, dunque, Valentina Cervi, giurata per il premio alla miglior opera prima... Ma torniamo al trionfo tedesco.
LOrso doro è andato a Grbavica di Jasmila Zbanic, che racconta come una ragazzina musulmana di Sarajevo - Grbavica ne è un quartiere - si scopre figlia di un serbo stupratore. È il film duna trentenne, ideale per una giuria con tre donne (oltre alla Rampling, la regista olandese Marleen Gorris e lattrice coreana Lee Young Ae). Naturalmente è anche un premio alla Bosnia, ma la Bosnia è un protettorato tedesco-americano e non ha una cinematografia. In realtà Grbavica è una coproduzione fra Germania e Austria, alla quale Croazia e Bosnia hanno offerto sfondo, interpreti e spunto storico: di una guerra che senza lavventurismo tedesco non ci sarebbe stata.
La politica estera delle Germania traspare anche dietro allOrso dargento a Offside («Fuorigioco») delliraniano Jafar Panahi e ai registi Michael Winterbottom e Mat Whitecross per The Road to Guantanamo («La strada per Guantanamo»), opere interessanti più per il soggetto che per la realizzazione. Con lIran sotto assedio, che potrebbe divenire guerra proprio durante i mondiali di calcio ai quali la sua Nazionale parteciperà in Germania, con una giuria berlinese mezza di donne, un film su ragazze tifose, represse nel tifo dalla polizia, sè rivelato un capolavoro... di precognizione e prefabbricazione del premio. Quanto a Guantanamo, i registi hanno portato sul palco con loro i tre interpreti, che sono anche i tre personaggi della crudele detenzione come sodali di Al Qaida. Evidente anche qui il messaggio, ma anche laria non rassicurante dei tre.
Tutti tedeschi - il nazionalismo non è un narcisismo collettivo? - i premi di interpretazione: a Moritz Bleibtreu (che gli italiani forse ricordano in Lola corre) per Le particelle elementari di Oskar Roehler; a Sandra Hüller per Requiem di Hans-Christian Schmid; a Jürgen Vogel per Der Freie Wille («Il libero arbitrio»), motivato però come «miglior contributo artistico», perché Vogel ne è anche coproduttore e cosceneggiatore. Chi negherebbe che siano dei veri attori? Però qualcuno potrebbe dire che lo sono anche Vin Diesel di Find Me Guilty e Isabelle Huppert dellIvresse du pouvoir. «Però hanno già avuto», gli replicherebbe chi sa che i grossi festival europei sono lanti-Oscar, dunque raramente onorano chi lavora a Hollywood, e gli europei celebri.
Non ci sono evidenti partecipazioni tedesche al danese Soap di Pernille Fischer Christensen. Però anche la Danimarca è periferia della Germania e la regista è una trentenne. Poi la vicenda parla di transessualità e prostituzione. Nemmeno al politicissimo Festival di Berlino tutto è politica diretta: cè anche quella indiretta delle lobbies.
Questa tradizione gaya permette anche il lento reintegro - nellufficialità del cinema tedesco - dellepoca nazionalsocialista, che avviene impercettibilmente. Nella dépendance del Festival che è il Museo del cinema di Berlino, sono apparsi da tempo film, foto e libri di Leni Riefenstahl. E ieri, durante la cerimonia di premiazione del Festival, Nina Hagen, coi capelli turchini, ha cantato il motivo conduttore del film Habanera di Detlef Sierck (1937).
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