Si può capire il pensiero fisso di chiudere il Parlamento eletto nel 2001 e di buttare la chiave. Si può capire perfino che questo pensiero sia diventato una vera e propria ossessione. Ma parlare di vulnus alla democrazia e di ricatti, accennare al golpe istituzionale, dire che l'Italia è trasformata in un Far West questo, sì, è da «repubblica delle banane» o, ad essere più precisi, da «sinistra delle banane». Soprattutto se chi lo fa, invoca, dai giorni dell'esplosione dell'affaire Unipol, la necessità di abbassare i toni, di non gridare, di non accusare, e propone lezioni di correttezza, come ha fatto il senatore Nicola Mancino, dimenticando che il centrosinistra proprio agli sgoccioli della scorsa legislatura cambiò niente meno che la Costituzione. Ma sono inezie, su cui non riflette chi soffre di quell'incurabile «complesso del migliore», tanto ben descritto dal professor Ricolfi.
È davvero triste che ci sia un duello di questa asprezza su una questione che in un Paese normale sarebbe stata regolata con un linguaggio misurato e con toni bassi. Un Paese normale apre il dizionario degli insulti e la scatola dell'indignazione se il capo dell'esecutivo tenta di governare senza maggioranza, di rinviare le elezioni politiche oltre la scadenza naturale, di prevaricare sugli altri poteri. Ma in questo caso la Costituzione non c'entra nulla. C'è la richiesta, fatta dal presidente del Consiglio, di proseguire i lavori parlamentari per altre due settimane, cioè di far funzionare le sedi della rappresentanza popolare oltre una data già annunciata, ma senza per questo infrangere alcuna legge. È lecito non essere d'accordo. Così come è lecito - e forse anche politicamente giusto - sostenere la conferma della data del 9 aprile, se non altro per evitare la coincidenza con l'elezione del capo dello Stato. È anche del tutto lecito affermare polemicamente che posporre l'inizio dei comizi ha lo scopo di ritardare l'entrata in vigore della «par condicio». Meno lecito è alzare questo polverone.
E soprattutto cosa c'entra, nel caso in questione, «la diminuzione della qualità della nostra democrazia», come ha sostenuto il senatore Mancino? Se questa qualità è diminuita, negli ultimi cinque anni, ciò è dovuto al fatto che l'opposizione ha avuto fin dall'inizio, fin dal maggio del 2001, quel pensiero fisso di chiudere al più presto una legislatura che, in fondo all'anima, considerava illegittima. Le grida di oggi nascono solo da questa «riserva» culturale e politica, che oltretutto non è stata taciuta. Quante volte abbiamo sentito parlare di «spallata»? E oggi questa «riserva» dilaga in tutta la sua rumorosità.
Berlusconi ha spiegato pubblicamente le ragioni della sua richiesta, cioè il completamento dell'attività legislativa. Ha ricevuto anche delle critiche di natura essenzialmente politica, che riguardano i vantaggi e gli svantaggi di questo conflitto, con i suoi tortuosi passaggi - l'atto del capo dello Stato, il parere dei presidenti delle Camere, la controfirma del presidente del Consiglio, che presuppongono l'accordo dei vertici istituzionali. E si può discuterne. Ma quel che colpisce è il fatto che i contestatori più accesi delle due settimane in più non sono riusciti a contrapporre dei solidi argomenti. Non sono entrati nel merito dei problemi o delle misure che si pensa di varare.
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