La prima impressione è di trovarsi su scherzi a parte. La seconda è di trovarsi proprio in Italia dove il seme dellodio è coltivato come altrove si coltiva il seme del papavero da oppio. La storia è questa: limprenditore ed editore Carlo De Benedetti è stato costretto dai suoi dipendenti di Repubblica a fare una figura barbina. La storia sta tutta nella lettera pubblicata ieri da quel giornale, firmata da Carlo De Benedetti, e che riassumiamo. Repubblica è stata e resta il giornale capofila nellorganizzazione dellodio contro Berlusconi e contro tutti noi liberali di tante diverse origini che ci troviamo dalla sua parte. È in libreria una lunga antologia delle frasi odiose contro il presidente del Consiglio, con una mia prefazione e alcuni lettori forse ricorderanno una nostra «Lettera a chi ci odia»: so di che parlo anche perché a Repubblica dalla fondazione ho assistito alloperazione che portò alla caduta di Craxi e allinizio della demonizzazione di Berlusconi.
I fatti: qualche settimana fa Berlusconi chiese a De Benedetti un incontro conviviale per svelenire i loro rapporti e leditore di Repubblica acconsentì. Ci fu una cena, non si parlò di politica e alla fine Berlusconi domandò a De Benedetti quali nuove iniziative industriali stesse preparando. E quello gli parlò della nuova azienda, in pool con altri imprenditori, per soccorrere le aziende in difficoltà. Berlusconi ha trovato lidea interessante e ha chiesto se poteva partecipare con una quota. De Benedetti si è detto lieto e i due si sono salutati. Il giorno dopo, diffusasi la notizia, il titolo volava in borsa perché evidentemente gli italiani sono contenti se sanno che due imprenditori di valore ma nemici hanno trovato un terreno di collaborazione. Fine della prima puntata. Seconda puntata, nel campo dAgramante della sinistra scoppia il finimondo e De Benedetti si trova sotto accusa tanto che, dopo un po rinuncia: telefona a Berlusconi, lo ringrazia, gli dà atto della sua cortesia e correttezza, si rammarica per come sono andate le cose e scrive la lettera che ieri è stata pubblicata come un trofeo sulla prima pagina di Repubblica. Domandiamo ai lettori: perché gli uomini nella lettera come Ezio, Eugenio e Carlo Caracciolo hanno costretto il loro editore a fare marcia indietro da un affare che era soltanto un affare, nulla di politico, nulla di ideologico, just business? Provate un po a rispondere. Lavete capito? Vediamo se abbiamo capito la stessa cosa.
Gli amici di Repubblica (direttore, ex direttore, circolo degli influenti e amici politici) hanno preso a ginocchiate nelle parti basse il loro editore perché quel bravuomo, senza accorgersene, gli aveva smontato il giocattolo su cui si basa la macchina che producendo odio politico permette di estrarre consenso elettorale e fatturato pubblicitario. Il giocattolo è la demonizzazione e la criminalizzazione quotidiana e costante dellavversario trattato come nemico pubblico numero uno, ieri Craxi e oggi Berlusconi. E allora che succede? Che se tu descrivi sempre, il tuo avversario come Al Capone anziché un eccellente imprenditore e uomo politico, tu poi non puoi non dico accettarne i soldi per unazienda in comune, ma neanche prenderci una pizza al bar. E De Benedetti, poveruomo, con Berlusconi ci ha consumato un pasto completo con caffè, ammazzacaffè e digestivo, oltre ad accettarne con entusiasmo i soldi per la partecipazione. E così per la prima volta nella storia dItalia, e forse del mondo moderno, un editore è stato costretto a bruciar viva la propria dignità in un penoso autodafé per compiacere i suoi più illustri dipendenti.
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