Pacifico: «Ecco il cd della mia serenità»

L’artista milanese: «Prima di registrare Dolci frutti tropicali ho girovagato per le spiagge d’inverno»

Massimiliano Lussana

Sessantadue righe. È dura in sessantadue righe raccontare tre ore di emozioni, quelle sommate ascoltando il nuovo disco di Pacifico, Dolci frutti tropicali, e parlando con il cantautore milanese, uno dei pochi ancora capace di dire qualcosa quando parla. Fatte le proporzioni, sarebbe come scrivere e registrare musica per un anno, trovarsi con in mano il materiale per cinquanta canzoni e poi doverne scegliere otto o dieci per metterle nel disco. Fatte le proporzioni, questa intervista ha la stessa genesi di Dolci frutti tropicali, un piccolo capolavoro, nato «per sottrazione».
Pacifico, ma lei è stato sempre abituato ad aggiungere. Nel suo disco precedente Musica leggera, si concentrava una specie di bulimia di suoni, di metafore, di parole. Come è arrivato alla dieta?
«Mi hanno dovuto strappare il disco dalle mani, perchè settimana dopo settimana toglievo qualche canzone. Ne sono sopravvissute miracolosamente dieci... Sì, ho giocato a togliere e non a inserire, con meno metafore e più concetti. E anche musicalmente ci sono molte meno sovraincisioni. Poi, la voce più in basso per far risaltare maggiormente le parole e, chissà, il passo successivo potrebbe essere l’uso di soli pianoforte e voce...».
Ma lei non nasce pianista!
«E continuo a suonarlo con tre dita...».
Leggendo i testi di Dolci frutti tropicali sembra di avere a che fare con un’altra persona rispetto all’autore di Musica leggera. Tanto quello era un disco che trasudava lacrime e sangue, tanto da questo traspare serenità. Che è successo?
«Quando raggiungi il fondo del dolore, non puoi più scendere. E allora subentra un’accettazione. Non rassegnata. Così, dopo il Festival di Sanremo del 2004, che ha segnato il mio confine - anche professionale, visto che ho cambiato etichetta, ma proprio per questo ho dovuto lasciare andare un po’ alla deriva il mio disco precedente - ho riempito la mia macchina con gli strumenti e Margherita, il mio cane, ed ho iniziato a girovagare per mari d’inverno: da Deiva Marina all’Elba, da Fregene a Cesenatico. E ho vissuto in un mondo fatto di ringhiere da riverniciare, di getti di docce lasciati aperti in spiaggia e ghiacciati, di giardini arruffati. Non è la Patagonia, ma... Ti abitui a un’altra vita, scandita magari dal reality delle tre del mattino, che ti serve a sapere che sono le tre del mattino».
La nuova etichetta discografica è la Radiofandango di Domenico Procacci. Come si fa musica con chi di solito fa film?
«L’idea di questa collaborazione è nata in un concerto a Civitavecchia, che solo voi sul Giornale avete raccontato. Ed è proprio come uno se la aspetterebbe: la Fandango è una factory, molto creativa, molto incasinata, anche. Pensate che stavo lavorando alla copertina quando Procacci mi ha detto: “Ci penso io”. Ha alzato la cornetta, ha chiamato Tanino Liberatore, che finora aveva fatto solo una copertina per Frank Zappa, e in tre giorni avevamo la copertina».
Collaborazioni: Magoni, Paci e Bersani, bellissima. Samuele ci scriverà sopra Il pescatore di collaborazioni?
«La cosa bella è che non le ho cercate, in nessun modo. Sono nate tutte casualmente negli ultimi dieci giorni di lavorazione del disco. E amo moltissimo questi brani proprio per questo, perchè sono regali del tutto inattesi».
A proposito di regali.

Dopo Celentano e Simona Bencini per chi scriverà?
«Con Samuele siamo amici e complici e collaboraremo ancora, così come ricambierò Petra Magoni. Nel disco di Gianna Nannini ho lavorato a due canzoni. Poi, ho scritto due testi per Mina e Fiorella Mannoia. Se li vogliono...».

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