Un paese sulle barricate La guerra civile del petrolio

A Tramutola scorre il fiume nero che spacca la Val d'Agri. C'è chi lo difende perché dà lavoro e chi accusa: «Ci fa ammalare»

Un paese sulle barricate La guerra civile del petrolio

Tramutola (Potenza) - Le indicazioni dei passanti sono svogliate: «Poco dopo la piscina, di fronte a una cascitella abbandonata, tra le fuoglie. Lì sta». Non sono le parole che guidano, è l'odore. Una vampata che scende ai bronchi, come zolfo e vernice insieme. A Tramutola, dove si dice che vivano le più belle ragazze della Basilicata, un piccolo torrente di acqua e petrolio sgorga dalla terra. È lì da molti anni, tutti in zona rivangano i racconti dei nonni, anche se ora c'è chi garantisce che quel torrente dove l'acqua si addensa nera non è mai stato così abbondante. Acqua oleosa, l'alveo ha i contorni di pece e in controluce il liquido scuro si apre in arabeschi di colori. È il petrolio. Fino a una generazione fa la fonte era ritenuta miracolosa per guarire il fuoco di sant'Antonio e i disturbi gastrointestinali. Davanti al ruscello il Comune ora ha appeso un cartello con la scritta: «Acqua non potabile».

L'aria brucia la gola anche oltre il torrente, entrando nel paesaggio lussureggiante di questo lembo di Basilicata appenninica, fitto di cerri e castagni e protetto dalla Madonna Nera, nera come l'olio che sgorga dalla terra. Con questa risorsa l'Eni ha creato la più grande piattaforma petrolifera dell'Europa continentale: una superficie di 180mila metri quadrati, 104mila barili al giorno, 27 pozzi di cui 7 all'interno del Parco della Val d'Agri. È il Centro Oli chiuso a marzo dopo l'inchiesta Tempa Rossa. Che ora potrebbe riaprire, forse addirittura durante l'estate, perché la magistratura ha dato il via libera ai lavori di adeguamento. E la Val d'Agri si divide, spaccata simbolicamente a metà come se il fiume nero fosse la frontiera di una silenziosa guerra civile: di qua chi di petrolio ci vive - in ogni famiglia c'è almeno un dipendente dell'Eni o di aziende collegate - e di là chi di petrolio muore.

Mezza valle aspetta la riapertura del Centro Oli, l'altra combatte perché, dicono le prime indagini mediche, le malattie respiratorie in vent'anni risulterebbero triplicate.

«Vi sentite male per la fonte di Tramutola, adesso capite cosa vuol dire abitare in Val d'Agri», ridono delle ansie ipocondriache dei visitatori le «cavie» di una ricerca senza precedenti: tra pochi giorni tutti e tremiladuecento gli abitanti di Viggiano potranno essere estratti a sorte nella più partecipata valutazione epidemiologica sulla salute pubblica che la Basilicata ricordi: i sorteggiati saranno sottoposti a indagini su parametri respiratori, cardiaci, su pelle e capelli. La ricerca «sarà un esempio di democrazia partecipata», anticipa Giambattista Mele, medico membro della commissione, di cui peraltro fa parte anche Eni. Ma al di là del torrente oleoso, c'è chi si batte perché gli impianti siano riattivati subito.

Viggiano, paese di suonatori d'arpa, quasi mille metri di altitudine, si trova a cinque minuti di auto da Tramutola ed è il vero epicentro della terra del petrolio. La corruzione ha toccato il cantiere di Tempa Rossa, dove Total sta costruendo un pozzo nel Comune di Corleto Perticara (senza sindaco, arrestato). Per Viggiano l'accusa è invece quella di aver inquinato la falda reimmettendo in modo non corretto l'acqua stoccata nel pozzo Costa Molina 2. Da settimane davanti ai cancelli staziona un banchetto del comitato dei lavoratori «Un patto per la Val d'Agri». «Il pozzo inietta a 3970 metri nello strato roccioso informa il segretario, Donato Coiro -. Non ci sono perdite, il tubo è incamiciato da altri due tubi. Posso assicurare che da 16 anni siamo tartassati sui parametri di sicurezza». Se l'impianto era in sicurezza come è possibile allora che nell'acqua del lago artificiale del Pertusillo siano arrivate sostanze per il trattamento del petrolio? Idrocarburi, bario. Secondo la procura di Potenza la strategia dell'Eni sarebbe stata «improntata a occultare agli organi di controllo le evidenti anomalie dell'impianto», riducendo «il numero delle comunicazioni di sforamento delle emissioni in atmosfera».

Ma questa è una terra di misteri, di spiriti neri che nascono tra gli alberi e di un'aria che, inspiegabilmente, è più inquinata da due mesi a questa parte. La metà valle che vuole la riapertura ha dalla sua dei dati sconvolgenti, un paradosso di cui si stanno occupando chimici e biologi senza venirne a capo. Dal giorno in cui il Centro Oli è stato chiuso, il 31 marzo, gli idrocarburi non metano nell'aria sono schizzati. «Il picco lo abbiamo registrato tra l'8 e il 9 giugno, 3867 microgrammi al metro cubo», conferma Mele: oltre due mesi dopo lo stop dell'impianto. In questa situazione incomprensibile la magistratura ha deciso comunque di dare una possibilità. Fino a giugno, oltre 2mila posti di lavoro erano a rischio. Tra azienda madre e indotto, il petrolio qui dà lavoro a quasi 3500 persone. I dipendenti Eni potrebbero quindi tornare praticamente tutti operativi per adeguare l'impianto e riprendere le perforazioni.

In questi mesi bar, ristoranti e alberghi si sono improvvisamente svuotati, le royalties azzerate. Il sindaco, Amedeo Cicala, si lamenta: «Siamo in shock economico. Il Comune supera i 15 milioni di euro annui di entrate dal petrolio, un'enormità per tremila abitanti. Piste da sci, impianti sportivi, il concerto gratuito dei Pooh. Ma non si può dire che la vita con l'oro nero sia cambiata. E nei campi si piange perché le vacche muoiono presto». «Qui vive ancora la politica dei Borboni racconta un cittadino molto conosciuto a Viggiano, e quindi anonimo feste, farina e forca. Hanno appena speso sessantamila euro per la sagra del tartufo. Sono venute le veline, la Tatangelo. Ma così i soldi ce li mangiamo, anzi, se li mangiano gli altri, a sbafo».

Questa è tutta un'area che riversa olio e chimica, «ma solo adesso raccontano a Viggiano la Regione ci dice che ha stanziato 8 milioni per procedere ai controlli ambientali. Finora che cosa hanno fatto?».

«Se si deve murì, meglio murì a panza piena che a panza vota», ragiona però la maggioranza.

«La Val d'Agri valuta il presidente di Legambiente Basilicata, Alessandro Ferri si è seduta sul petrolio: è necessario puntare su un turismo diverso». Natura, percorsi a piedi. Ma mezza valle non ci crede. La linea nera che divide queste montagne non è mai stata così marcata.

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