L’America è a un bancomat dalla fine. Un prelievo e salta il banco. Un prelievo e tutti a casa. La carta è in mano al Congresso: o repubblicani e democratici trovano l’accordo sulla Finanziaria o gli Stati Uniti d’America chiudono. Chiude il governo, non il Paese. Chiude lo Stato, non la gente. Però è lo stesso: 800mila persone senza salario, uffici pubblici sbarrati, niente servizi sociali se non sanità e sicurezza. È come se una nazione intera si trovasse come ognuno di noi con un solo centesimo sul conto e lo stipendio che non arriva. Lo chiamano shutdown : è la paralisi di moltissimi servizi federali, è lo spettro della sospensione di tutto ciò che non è urgente. Significa che si può fermare praticamente tutto: dai rimborsi fiscali alla raccolta della spazzatura. Significa che i dipendenti dell’intero apparato degli Stati Uniti non sarà retribuito. Vale persino per i militari, se non sono impegnati in azioni all’estero. Neanche un dollaro, allora, per i soldati nelle basi americane, neanche un centesimo per i lavoratori di musei federali, dei parchi nazionali, delle attrazioni turistiche che sono nel bilancio di Washington. Rischia la Statua della Libertà, per esempio. Rischia Yellowstone, rischia molto di quello che tutti noi abbiamo visto o vogliamo vedere quando ci mettiamo una macchina fotografica al collo e voliamo in America. Washington è nel panico. Qualcuno dice «solo» Washington. Perché è il District of Columbia che dipende interamente dal governo federale. Il resto dell’America dipende dai singoli Stati: della Capitale, dei suoi guai, del suo bancomat a scadenza ravvicinata, possono anche fregarsene. La realtà è un po’ diversa. Perché Washington sarà devastata, ma i problemi ci saranno anche altrove. New York, per esempio, sarebbe una metropoli nel caos: i mezzi della guardia costiera sospenderebbero i pattugliamenti, i lavori di bonifica dei rifiuti tossici, come quello che interessa il canale Gowanus a Brooklyn, verrebbero interrotti, le assunzioni negli uffici della sicurezza pubblica sarebbero bloccate. Senza contare piccoli e grandi disagi come l’impossibilità di richiedere visti e passaporti. La partita è complicata. Si tratta: può passare una leggina che dà fiato per una settimana. E poi? Ottocentomila persone senza stipendio sono un’enormità che mette in crisi molto altro: Washington vive una delle sue stagioni migliori nello spring break, le vacanze di primavera degli americani, che cade in questo mese. All’orizzonte c’è Pasqua e l’arrivo previsto di migliaia di turisti dall’Europa e dall’Asia. Poi c’è un problema politico. Perché lo Stato federale americano chiuso per debiti o per mancanza di denaro è uno schiaffo pesante. È un colpo all’autostima e alla stima che gli altri hanno negli Usa. Le polemiche democratici-repubblicani sulla spesa pubblica hanno raggiunto livelli raramente visti prima. Il presidente Barack Obama è in crisi: l’opposizione conservatrice (che in realtà alla Camera bassa del Congresso è maggioranza) vuole una Finanziaria con tagli fortissimi. Il governo e i democratici dicono no. Solo che il loro rifiuto al piano proposto dai repubblicani significa rottura totale e quindi shutdown . A chi convenga oggi ancora non si sa. Non a Obama, non ai democratici, e però neanche ai repubblicani: l’ultima volta che l’America ha chiuso per mancanza di credito è stato nel 1995. Gli stop furono due, uno dal 14 al 19 novembre 1995 e il secondo dal 16 dicembre 1995 al 6 gennaio 1996. Sedici anni fa la situazione era molto simile a oggi: i repubblicani avevano stravinto le elezioni di midterm, così decisero di ingaggiare un braccio di ferro sul budget con il presidente democratico. Furono giorni di trattative e di polemiche. L’America a guardare e a pagarne le conseguenze. Poche? Tante?La storia non s’è ancora decisa. Forse un po’ deldisastro della spesa pubblica che gli Usa vivono in questa stagione dipende dalle scelte di quei giorni. Questo non lo ricorda nessuno, adesso. Ricordano soltanto come finì la sfida politica: la paralisi di governo penalizzò i repubblicani.
I democratici riuscirono a convincere l’America che lo stop fosse stato tutta colpa dei conservatori. C’erano le elezioni in vista: Clinton si riprese la Casa Bianca. Anche oggi siamo in campagna elettorale per le presidenziali 2012: anzi, ci siamo appena entrati con questa storia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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