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«È un paradigma superato e insufficiente»

La vera «fede», è quella di chi difende «a priori un paradigma, un’idea centrale fondante, e cioè il determinismo legato al pensiero scientifico sette-ottocentesco». Per un paleontologo, che di mestiere armeggia con fossili e innumerevoli prove di specie estinte, negare l’evoluzione naturale non è facile. E infatti Roberto Fondi, dell’Università di Siena, fa proprio il contrario. Eppure contro Darwin, e la vignetta dell’uomo sceso dall’albero, ha già scritto due libri e ne prepara un terzo.
L’evoluzionismo darwiniano è ancora una teoria valida?
«Prima di rispondere, inviterei a mantenere ben separati due concetti di valenza molto differente i quali, invece, continuano generalmente ad essere confusi: quelli di “evoluzione” e di “evoluzionismo”. Il primo di questi concetti si riferisce al fenomeno per cui la vita sulla Terra non si è perpetuata nel tempo in maniera sempre uguale e uniforme, ma ha variato ripetutamente in configurazione. Questo fenomeno è una realtà oggettiva indiscutibile. L’evoluzionismo, invece, non è altro che un particolare “paradigma” o modo di interpretare la suddetta realtà. Per l’evoluzionista l’evoluzione biologica consiste in un processo di “discendenza con modificazione da progenitura comune”, rappresentabile tramite il modello canonico dell’albero genealogico, o filogenetico».
E in tutto questo che cosa c’è che non funziona?
«Nel contesto del paradigma evoluzionistico, il neo-darwinismo assume che i protagonisti assoluti dei processi evolutivi siano i genotipi, ovvero gli insiemi di geni del Dna. Tutte le forme e tutte le funzioni sarebbero il frutto di mutazioni e cambiamenti casuali nelle frequenze geniche, sui quali poi la selezione naturale opererebbe preservando unicamente i fenotipi, ovvero le forme corporee risultanti, meglio adattati. Il darwinismo, insomma, continua a concentrare il suo interesse sugli eventi che accadono nelle sequenze del Dna a livello delle popolazioni (mutazioni, segregazioni e ricombinazioni, selezione e deriva genetica); e siccome il concetto di “ordine” rimane totalmente estraneo al suo approccio, quello dell’origine delle forme e delle funzioni è da esso considerato un problema irrilevante. Il fatto è che da almeno venti-trent’anni, il genotipo non sembra più occupare una posizione centrale nella cellula vivente».
Quindi la teoria di Darwin è superata?
«Sì, perché dalle ricerche è scaturita un’immagine della cellula basata non più sui “mattoni fondamentali”, cioè i geni, bensì su una rete ricorrente di relazioni funzionali integrate a vari livelli, relazioni che si esprimono in processi circolari, spesso delocalizzati e strutturati in modo gerarchico. Genoma e citoplasma, insomma, sembrano formare una totalità bilanciata, in equilibrio talvolta assai delicato, dove l’attività di ciascuna parte acquista valore e significato unicamente con riferimento all’organizzazione del sistema cellulare considerato nella sua globalità».
Nemmeno i dati della paleontologia, i resti fossili di specie scomparse, salvano Darwin?
«No. I fossili provano la realtà dell’evoluzione biologica, cioè che la vita sulla Terra è stata interessata da un continuo processo di cambiamento, ma non provano affatto che questo cambiamento sia avvenuto secondo il modello proposto dal paradigma evoluzionistico, cioè in forma di albero genealogico. Affinché ci sia un albero, infatti, è necessario che esista un tronco con radici e rami e con altrettanti punti di biforcazione quanti sono le radici e i rami stessi: punti di biforcazione che, invece, nella documentazione paleontologica rimangono sistematicamente nebulosi o assenti. L’evoluzione biologica si è dispiegata all’insegna della “discontinuità”, e cioè in modo radicalmente diverso da quanto immaginavano Lamarck e Darwin».
C’è un’alternativa scientifica per spiegare l’evoluzione?
«Secondo me, sì. Al paradigma evoluzionistico inteso nel suo complesso può e deve essere contrapposto un paradigma che possiamo benissimo denominare “olistico” (dal greco òlos, cioè “tutto”), “organicistico” o “sistemico”. Diversamente dall’epoca in cui vissero Lamarck e Darwin, infatti, oggi le conoscenze scientifiche ci spingono fortemente a vedere la natura non più come un mero assembramento di “cose” tra loro indipendenti e soggette alla dialettica del caso e della necessità, bensì come un sistema ad elevatissima complessità profondamente interconnesso e dinamicamente coordinato in tutte le sue parti. A giudicare da quanto ci rivela la paleontologia, d’altra parte, l’evoluzione di questo sistema sembra seguire, più che la logica della continuità deterministico-lineare propria della fisica classica, quella della discontinuità indeterministico-globale propria della fisica quantistica. E mi azzardo a dire di più: a giudicare dagli aspetti “semiotici”, ovvero implicanti memoria e significato, insiti nel mondo biologico, sembra che anche la mente o dimensione psichica intesa nel suo senso più generale formi parte integrante ed inscindibile del “systema naturae”».
Lei crede in un «disegno intelligente» nella natura?
«Mettiamola così: personalmente sono convinto che l’architettura della realtà sia coerente con l’ipotesi che la “mente” abbia un ruolo essenziale nel suo funzionamento. Comunque sia, l’idea di un “disegno intelligente” nella natura non solo è stata condivisa da non poche grandi personalità della storia della scienza (mi limito qui a nominare Newton, Einstein, Heisenberg, Pauli e Hoyle), ma ha anche la peculiarità di collocarsi al di sopra di qualsiasi particolare confessione religiosa, risultando invece pienamente coerente con la visione del mondo cosiddetta “tradizionale”».
Che cosa pensa del creazionismo?
«Che possa essere oggetto di discussione soltanto sul piano filosofico o teologico, non scientifico. Trovo perciò assurda l’intera diatriba “creazionismo-evoluzionismo”, perché viene combattuta fra grandezze tra loro incommensurabili.

A differenza dell’evoluzionismo, il creazionismo non è un paradigma scientifico.

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