Parigi, 1900 la festa mobile del futuro

Pittori, ballerini, musicisti: all’alba del secolo una febbrile creatività abbatte gli steccati fra i linguaggi e rinnova la scena europea

Formidabili quegli anni. Quando il futurista Giacomo Balla, con sibili e borbottii, recitava la parte di una macchina tipografica in una pantomima allestita nel salotto di Serge Diaghilev, il fondatore dei Ballets Russes, e poi andava a dipingere ballerine sui muri del cabaret Bal Tik Tak. Quando Luigi Pirandello scortava l’aristocratico Rolf de Maré, fondatore dei Ballets Suédois, in giro per la Sicilia a cercare nel folklore locale suggestioni per uno spettacolo ispirato a La giara e poi tutti insieme andavano a chiedere a Giorgio De Chirico di disegnarne le scenografie. Quando Alberto Savinio, ancora ragazzino, spiava Isadora Duncan abbigliata da antica greca che andava a danzare a piedi nudi tra le rovine del Partenone per poi, da adulto, dedicarle un magnifico ritratto in Narrate, uomini, la vostra storia. Anni davvero formidabili, in cui i rapporti tra arte figurativa, danza e letteratura, passavano attraverso le relazioni private intrecciate fra uomini di genio in un mondo, al tempo stesso, incredibilmente vasto e incredibilmente piccolo, dove tutti conoscevano tutti, e un Pablo Picasso o un Jean Cocteau facevano da spettatori alle follie d’amore di Diaghilev per la sua étoile Vaslav Nijinskij. Un mondo che, rivisto oggi, sembra animato non solo da una scoppiettante creatività ma anche da un’invidiabile libertà, con una fame di nuove esperienze che trascorre dai palcoscenici di prosa al palco del Moulin Rouge, dai balletti giavanesi al can-can, dai pepli greci al caschetto di banane di Josephine Baker. E se oggi mescolarsi con la cultura «bassa» significa rivalutare i film del commissario Monnezza, allora si andava incontro al popolo commissionando le musiche per un balletto a un genio come Cole Porter.
L’avanguardia si incarnava allora nei corpi di Nijinskij e della Duncan. Figure inquietanti, segnate da un destino in diverso modo tragico. Nijinskij, che nel 1912 faceva scandalo a Parigi vestendo le succinte e animalesche vesti del fauno nell’Apres-midi d’un faune di Claude Debussy, e dovette intervenire Auguste Rodin, scultore supremo, per difenderlo dalle sparate bigotte del Figaro. Nijinskij, il dissoluto dedito a ogni tipo di orgia che aveva fatto perdere la testa a Diaghilev, e che di lì a poco sarebbe stato cacciato dalla compagnia dei Ballets Russes per avere sposato una delle sue fan, l’ungherese Romola de Pulski. Nijinskij, che passerà gli ultimi trent’anni della sua vita, fino alla morte nel 1950, prigioniero della follia, in un’assenza della mente che prolungava quella che era stata la sublime astrazione del suo corpo. Scriveva Savinio: «Il turbine di Nijinskij, quel corpo trasformato in segno mobile, in arabesco vivo non era se non vanità e disperazione. La danza dei Russi abolisce l’antropomorfismo, riduce l’uomo a figura astratta. Presente, Nijinskij era già ricordo. Non così Isadora, figlia prediletta della natura, la cui danza era speranza». In verità, pure la Duncan, californiana di nascita, scandalizzava i benpensanti. Ma anche lei trovò autorevolissimi difensori: Rodin, ancora una volta, di cui frequentava la casa, oggi splendido museo, a Parigi. E poi il presidente degli Stati Uniti Teddy Roosevelt che le fece scudo con la sua autorevolezza, quando il pubblico puritano andava a insultare la ballerina, già famosa, durante la tournée americana. «Isadora - disse Roosevelt, per una volta poeticamente ispirato - è innocente come il bimbo che danza in giardino al sole e raccoglie i fiori del suo sogno».
Il sogno di Isadora era quello di restaurare la purezza ellenica nelle danza. Appena arrivata a Parigi, aveva visto Edipo Re a teatro, restandone stregata, e passava ore nella sezione greca del Louvre. Nel 1903, con tutta la famiglia, si aggirava per Atene vestita da greca antica, con una tunichetta bianca e i sandali. Ma la sua stessa esistenza prese presto la forma di un mito truculento. I suoi due figli morirono annegati nella Senna, in cui era precipitata l’automobile su cui viaggiavano. Nel 1921 Isadora cercò nuove speranze nella Russia sovietica, dove danzò l’Internazionale per Lenin e sposò il poeta Sergej Esenin. Lui si uccise poco dopo, lei morì a Nizza, appena compiuti i cinquant’anni. Una morte coreografica: la sua lunga sciarpa si impigliò nelle ruote della Bugatti sportiva che stava guidando e la strangolò. «Questa Giocasta vittima della complicità di un’automobile da corsa e di uno scialle rosso», commentò Jean Cocteau. Come se la vicenda dell’Edipo Re, visto quella lontana sera a Parigi, con la regina Giocasta che muore impiccata, si fosse impadronita della vita di Isadora.
La Duncan era venuta a Parigi convinta dalla sua connazionale Loie Fuller, che si esibiva alle Folies-Bergères in un rutilare di veli e di luci. Le fantasmagoriche danze della Fuller incantano i simbolisti prima e i futuristi poi. Come nota Elisa Guzzo Vaccarino, nel bel saggio scritto per il catalogo della nostra del Mart, una nuvola di esotismo avvolge Parigi attraverso le molte danzatrici che ne dominano la scena all’inizio del secolo. L’androgina e stravagante Ida Rubinstein si esibisce nell’orientaleggiante Shehérazade di Rimskij-Korsakov, e poi commissiona a Ravel il suo celebre Bolero. Rodin ritrae più volte le danzatrici dei balletti giavanesi che, con quelli siamesi, sono l’ultima moda della capitale, e si esalta per le ballerine giapponesi, come le ex geishe Yacco e Hanako. Ben diversa l’atmosfera di Roma, con i suoi irriverenti cabaret futuristi.

E si darebbe qualunque cosa per potere assistere agli incontri che Diaghilev e Stravinskij avevano con quei matti di Balla e Depero, a cui commissionavano scene e costumi: del resto, persino Picasso e Cocteau erano sconcertati dalle stravaganze dei futuristi. Eh sì, formidabili quegli anni. Poi la mostra di Rovereto finisce celebrando i costumi disegnati da Versace per il pur bravo Maurice Béjart. E uno si rende conto di quanto è cambiato il mondo.

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