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Parigi, o cara, ti ho conquistato

Giorgio Ferrara spiega la sua «rivoluzione soft» all’Istituto Italiano di Cultura: «Basta polverose conferenze»

nostro inviato a Parigi
Seduto al suo tavolo (pezzo numero 1 come da bollino del ministero) nello studio che fu di Talleyrand, Giorgio Ferrara se la ride. Perché, come dice Sergio Romano, «i francesi ci amano in privato e ci detestano in pubblico». E così quando uno conquista i parigini snob del Settimo arrondissement, abituati a leggere su Le Monde le lamentazioni anti-italiane di monsieur Tabucchì e compagnia, lo si può raccontare con una certa soddisfazione.
Ma facciamo un passo indietro: quando nel novembre 2003 Giorgio Ferrara, 59 anni, regista allievo di Luchino Visconti, fu fatto direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, si sprecarono chiacchiere e polemiche: nomina di governo (e di chi sennò?), fratello di Giuliano, consigliere politico di Berlusconi (purtroppo tutti teniamo famiglia). E poi le proteste: ha chiuso i corsi di italiano, fa recitare la moglie Adriana Asti («Perché non la pago, ma lei protesta»), ha trasformato l’Hôtel de Galliffet in un teatro personale.
A distanza di 18 mesi Ferrara si è preso una bella rivincita. È stato appena nominato presidente del Forum dei trentotto Istituti di Cultura esteri di Parigi. Quindi sarà lui a coordinare la grande manifestazione di settembre, che per una settimana metterà in pista 200 eventi e 200.000 presenze previste. «Hanno scelto l’Italia perché è l’Istituto che funziona meglio» dice senza falsa modestia Ferrara in partenza per Roma, forte di risultati che fanno crepare di invidia i suoi nemici. In diciotto mesi ha ribaltato come un calzino l’Istituto. Basta con le tristi conferenze di professori e via a un modo più spettacolare di far conoscere il Bel Paese. E perché il messaggio fosse chiaro ha gettato le seggioline e il tavolo col panno verde e bottiglie d’acqua dei relatori per trasformare la grande sala specchi e stucchi dell’Hôtel in un teatrino da 120 posti. Sul palco sono saliti attori, giornalisti, politologi per raccontare l’Italia in maniera stravagante e diversa. Ha mischiato i generi, passando dalla cultura altissima e raffinata di un dialogo surreale tra Artemisia Gentileschi e Galileo Galilei alle cene e sfilate delle quattro stagioni di Vivaldi impersonate da quattro bellissime modelle vestite Valentino, Fendi, Pucci e Ferrè. E poi una grande manifestazione per spiegare ai francesi che il giardino di Versailles è figlio del giardino all’italiana. Paolo Pejrone ha fatto arrivare dai vivaisti di Pistoia bossi, allori, limoni, mirti, 150 piante di prodotti tipici, dai pomodori al timo ai peperoni. «Signore che non avevano mai messo piede all’Istituto, venivano a fare la spesa: mi chiedevano se potevano prendere un po’ di basilico...». Piadine e musica di Mirko Casadei, principesse e bel mondo. Una formula solo apparentemente leggera. Ferrara fa pagare il biglietto d’ingresso, ha spostato l’orario degli appuntamenti dalle 18.30 alle 20.30, tiene aperto anche il sabato mattina. E, grande novità, tutto avviene in francese (altro motivo di critica, ma l’idea è che non è importante veicolare la lingua ma la cultura di un Paese).
Così Le Figaro ha parlato di «Ritorno della dolce vita», il «sogno italiano» si è guadagnato un posto fisso su Pariscope e i parigini della Rive Gauche la sera si domandano: teatro, cimena o Istituto? Dice Ferrara: «Era mia intenzione partire soft per poi arrivare a fare cose più impegnate. Infatti il programma più di successo è stato il ciclo “Fratelli d’Italia”, dove Galli della Loggia e Marc Lazar hanno spiegato gli anni Ottanta e Novanta. Anche qui la formula era da spettacolo con proiezioni, letture, spezzoni di film e quattro giornalisti come testimoni (Miriam Mafai, De Bortoli, Ezio Mauro e Sergio Romano). A Parigi hanno una cattiva informazione che viene dall’Italia». Sarà perché è la patria degli «esuli del regime»? «Sono esuli di lusso, che abitano qui perché hanno belle case e gli va di stare qui. Il loro è uno strillo di parte che non corrisponde alla realtà. Un Istituto di Cultura non deve fare propaganda politica e quindi ho pensato che era giusto mettere in mano ai parigini i materiali per spiegare pacatamente la nostra storia. Non basta fare una polverosa conferenza per italiani residenti all’estero, è molto più efficace una serie a tema».
Così da Parigi è partita la rilettura della figura politica e umana di Craxi (altro grande scandalo, rimbalzato fin sui quotidiani nazionali). Così all’Hôtel du Galliffet le repliche di un testo su Aldo Moro tratto da lettere e testimonianze dell’epoca (che in altre circostanze avrebbe retto due serate), sono in scena da metà febbraio e proseguiranno fino a metà giugno per un totale di cento serate. «È una vittoria in una città come Parigi, dove ogni sera ci sono mille scelte» commenta Ferrara, che con una certa perfidia annuncia il programma dell’anno prossimo: «Si parlerà della conquista della Gallia. Tanto per ricordare ai francesi chi siamo. Un ciclo coordinato da Aldo Schiavone, stessa struttura scientifica ma spettacolare. Cinema e teatro sono comunque i veicoli migliori per fare arrivare la nostra cultura.

Quindi farò anche un “Cinema Italia” alla Cité universitaire proiettando film italiani presenti nei festival europei dell’anno. Poi vorrei continuare con una rassegna sui grandi classici e sui film che sono fuori dalla grande distribuzione...».

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