Cristiano Gatti
Una persona normale, che tutti i giorni si alza alle sette, porta i figli a scuola, va in ufficio o in fabbrica, lavora fino a sera, quindi torna a casa magari dopo un paio d'ore di coda, ecco, un tizio così alle nove si sente un po' stanco, alle dieci sbadiglia e prima di mezzanotte stramazza. Loro no: a mezzanotte sono tali e quali a mezzogiorno, sono pimpanti ed euforici, sanno immancabilmente di colonia, e quando i normali sono pronti per andare a letto, loro sono prontissimi ad iniziare una nuova giornata, nel pieno della notte, dal pub alla discoteca, per finire alle roventi acrobazie con qualche bomba erotica del giro giusto.
Come fanno? I normali se lo chiedono, sentendosi un po' in colpa, anzi decisamente frustrati, per non dire miserabilmente falliti. E gli altri se ne prendono pure gioco con energiche pacche sulle spalle, definendoli impietosamente tristi e mortaccioni. Due mondi separati, due umanità dal fisico diverso. Da una parte quelli che combattono contro i propri limiti naturali, dall'altra quelli che apparentemente non ne hanno. Come due motori di cilindrata diversa. Ma ormai non è più il caso di impazzire alla ricerca di una spiegazione. S'è capito quasi tutto. Non è una diversità di motori: è diversa soltanto la benzina. Quelli efficienti, pimpanti ed euforici 24 ore su 24, senza distinguere il giorno dalla notte, ne usano una tutta particolare, ultimamente neanche tanto proibita: da un buon distributore, tra i cinquanta e i settanta euro al grammo. Si va forte, con questa benzina in corpo. Peccato comporti un fastidioso effetto collaterale: non brucia soltanto lei, brucia anche le cellule del cervello. Dopo, nessuno le recupera più.
Che un nuovo rampollo di famiglia bene, probabilmente la famiglia più bene d'Italia, cada dal piedestallo per cocaina, ammettiamolo tranquillamente, non provoca neppure più choc nazionali. Negli ultimi tempi, la droga vip, la droga pulita e sciccosa, tutta un'altra immagine rispetto alle siringhe in vena delle stazioni ferroviare, questa droga tanto simpatica perché concede euforia e brillantezza, questo status-symbol dell'Occidente opulento ci ha allenati al suo outing patinato. Già da un po' abbiamo capito che nel bel mondo si sono un poco stufati di champagne e tartine, tanto da saltare velocemente sulle nuove emozioni della polvere bianca. Pantani e Maradona: chi dimentica le due storie parallele e turpi del grande sport, la prima finita nello squallore d'una stanza d'albergo sul lungomare di Rimini, l'altra acciuffata per i capelli quando sembrava destinata ad analoga conclusione? Poi, procedendo in qua, con cadenza ormai settimanale, l'affiorare delle inconfessabili rovine nei roboanti mondi di moda, cinema, finanza, musica leggera. Dalla Versace fino a Calissano, passando per Kate Moss ripresa in sniffata diretta, le luci della ribalta inquadrano a ritmo sempre più impressionante la nuova schiavitù della gente che conta.
Ma è proprio davanti ai casi dorati come quello di Lapo che si corre un grosso rischio: considerare la cocaina un'esclusiva di settore, diciamo pure il settore ricchi&famosi dell'umanità moderna. Errore, tragico errore. Purtroppo, un po' per emulazione, un po' per noia, la neve sta cadendo copiosa anche sulle generazioni più giovani e più anonime, partendo dai salotti metropolitani e arrivando sin dentro le tavernette di estrema provincia. I dati sono chiari: la statistica più recente in mano al ministero dell'Interno certifica che negli ultimi sei anni la soglia di accesso alla cocaina è scesa dai trenta ai tredici anni. I ragazzi la stanno scoprendo, ma evidentemente la sottovalutano. Certo, aiuta a scacciare la depressione e il vuoto. Ma il problema, spiegano i medici, è che poi crea la dipendenza più subdola: quando non c'è, lascia subito campo libero ad una depressione peggiore. E per cacciare la depressione, bisogna rifare il pieno.
Toccherebbe all'Occidente intero, che di cocaina sta gemendo, arginare la marea bianca: secondo studiosi Onu, i grandi trafficanti e i nemici di religione se ne stanno servendo per trasformare proprio l'Occidente in un corpaccione molle e vuoto, incapace d'intendere e di volere, irrimediabilmente asservito ai diabolici fornitori. Scenari forse un po' estremi. Ma è un fatto che la piaga risulti molto più infetta di quanto si sia disposti ad ammettere. In una recente intervista, il prefetto Nicola Cavaliere, capo della Direzione centrale anticrimine, non ha usato eufemismi: «La cocaina è diventata la droga di tutti. Guardando il video di Kate Moss si capisce come, in certe situazioni, un vassoio con una decina di strisce abbia lo stesso effetto dell'arrivo in tavola di una marmitta di polpette al sugo. Nessuno si gira dall'altra parte...».
La droga del bel mondo? Una volta, forse. Da lì è partita, forse. Ma ormai con questa iconografia siamo al paleolitico: per una Kate Moss o un Lapo Elkann che provocano deflagrazioni mediatiche, c'è tutto un ceto medio che quotidianamente offre il suo obolo e immola un angolo del suo cervello. C'è il giro dei medici, il giro dei piloti, il giro dei giornalisti, ma anche il giro degli impiegati e delle segretarie. Lo confermano senza problemi, nelle questure. La cocaina ormai è in mezzo a noi, assicurano. Nei primi nove mesi di quest'anno, in Italia ne hanno sequestrate tre tonnellate e mezza, il quaranta per cento in più del 2004. Piccola aggiunta: la cocaina sequestrata è una modica quantità sul totale consumato.
Cosa resterà, allora, di tutti questi eclatanti casi umani che stanno affiorando dai salotti buoni? Chi può dirlo.
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