Placido DOMINGO

da Milano

Cyrano de Bergerac il 29 gennaio torna alla Scala dopo più di mezzo secolo. E con quest’opera del 1937, di Franco Alfano, torna a Milano Placido Domingo, «Il Tenore». Ecco Domingo che parla del suo Cyrano milanese: molto milanese...
Come è arrivato a quest’opera?
«Tutto è partito da Milano. Vidi questa partitura durante alcune recite alla Scala, quindi chiesi alla Ricordi di procurarmi una registrazione e mi trovai fra le mani un nastro con il Cyrano del tenore Ramon Vinay. Fui colpito da quest’opera ingiustamente dimenticata».
Così pensò di tirarla fuori dagli archivi...
«... e di insistere con il Met perché l’allestisse».
Dopo il debutto del 2005, quali giri ha fatto il suo Cyrano?
«È stato riproposto a New York, quindi a Londra e l’anno scorso a Valencia. Milano è quindi la quarta città ad ospitarlo».
La prossima?
«Parigi, 2 giugno 2009».
Cosa rappresenta, per lei, la Scala?
«Il teatro che adoro. Mi fa piacere cantare nella vera Scala, con tutto rispetto per gli Arcimboldi dove presentai la zarzuela Luisa Fernanda».
Debuttava alla Scala nel 1969, ma sembra che non l’avremo a Milano per questo suo quarantesimo...
«Ha ragione, non c’è nulla in programma. Speriamo però che ci si ricordi della ricorrenza. Comunque ci sono altri progetti scaligeri dopo il 2009».
Banalità, ma lo smisurato naso di Bergerac non comporta problemi di fonazione?
«Lo temevo, ho provato una serie di nasi e alla fine ne ho scelto uno d’un materiale molto morbido, con cavità nasali belle dilatate così da respirare al meglio».
Quali sono i punti forti del Cyrano di Alfano.
«La coesistenza di momenti di grande modernità con slanci melodici».
Questo è il suo 121° ruolo, con il 2008 tocca quota 126. E poi?
«Il 127° è previsto per il 2009 con l’opera il Postino, una prima mondiale, a Los Angeles».
Non smette insomma d’essere affascinato dalle novità...
«Avrei bisogno di tre vite per soddisfare la mia curiosità».
Credo non sia semplice, anche per un cantante del suo rango, proporre novità ai teatri...
«Se credo in una cosa, io insisto».
È stato il primo interprete di un’opera di Tan Dun, compositore e direttore cinese che lunedì sarà alla Scala. Cosa ci dice del fenomeno-Cina?
«Al mio concorso, Operalia, partecipano sempre più cinesi e la qualità è alta. Il terzo millennio s’è aperto con l’affermazione della forza della Cina».
Qual è il livello di salute dell’Opera nel nuovo millennio?
«Bisogna rinnovare il pubblico. Io sto lavorando molto in questo senso a Los Angeles e a Washington. Sono partito dal tavolo direttivo dove ho voluto che sedesse gente giovane. Poi ho intensificato i progetti che coinvolgono le scuole, faccio lavorare il più possibile il gruppo di giovani cantanti, continua il progetto di maxischermi installati nei cinema e piazze e che trasmettono l’opera in contemporanea ai teatri».
Non è pessimista, quindi, sul futuro dell’opera?
«L’opera è immortale, il repertorio è gigantesco. Ora bisogna incoraggiare i compositori a fare nuovi pezzi, i teatri devono andare oltre la prima esecuzione».
In una passata intervista mi disse che entro il 2011, a settant’anni, avrebbe chiuso col canto. Sempre convinto?
«Sempre meno... Se la voce tiene non rinuncerò ai concerti mentre diminuirò le opere, che sono faticose. In questi giorni lavoriamo anche nove ore, fortunatamente sono fresco di vacanze e in buona forma, ho fatto parecchio sport».


Che sport?
«Il paddle tennis, assai diffuso in Messico e America latina».
Citava Operalia, il concorso che lei fa viaggiare per il mondo, ma non è mai stato in Italia...
«Però lo vorrei. E vorrei che fosse Milano ad ospitarlo».

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