Politica economica

Torna l’ottimismo in Confindustria

Le previsioni del Pil 2024 alzate a +0,9% grazie all’export, favorito dalla discesa dei tassi Bce

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Abituata di solito ad agire per sottrazione quando c’è di mezzo l’Italia, stavolta Confindustria strizza l’occhio al governo con cui par condividere le previsioni sulla crescita economica, collocata quest’anno allo 0,9% rispetto all’1% prospettato dal Dpef, mentre la Banca d’Italia si ferma sulla soglio dello 0,6%. Lo fa basandosi su due fattori potenzialmente virtuosi: il taglio dei tassi da parte della Bce e l’attuazione del Pnrr.

Sulla possibilità di un ritardo nell’alleggerimento del costo del denaro, la cui parabola ascensionale è stata dal luglio del 2022 in poi una palla al piede sempre più pesante per le imprese, il Centro studi di viale dell’Astronomia esprime un minimo di cautela indotto dall’amplificarsi delle tensioni geo-politiche e, probabilmente, dall’inaspettata ascesa dell’inflazione negli Usa. Un colpo di coda che costringerà la Fed a rimandare forse fino a dicembre il cambio di rotta della politica monetaria. Se avverrà il “disaccoppiamento” fra le due banche centrali, i benefici derivanti da un euro più debole si riverbereranno sulle nostre esportazioni. Rispetto a elementi esogeni su cui l’Italia non può esercitare alcun controllo, è solo nelle mani di Roma la gestione efficiente e tempestiva delle risorse messe a disposizione con il Next Generation Ue.

Un’occasione da non gettare alle ortiche, pena ripercussioni congiunturali nel lungo periodo. L’associazione, per la cui guida è da pochi giorni stato designato Emanuele Orsini, che prenderà il posto di Carlo Bonomi (foto), contabilizza in 100 miliardi di euro i fondi da destinare a investimenti e risorse fra il 2024 e il 2025; e, seppur non fornendo cifre, ritiene che la spinta al Pil di una piena attuazione del Piano sarà molto forte e determinante per tenere alta la crescita.

Di contro, a remare contro un irrobustimento dello sviluppo concorrono le bollette elettriche pagate dalle imprese, ben più salate che in altri Paesi, e soprattutto quella cambiale in bianco che resta il Superbonus, destinato a pesare sui conti dello Stato, così come le nuove regole del Patto di stabilità.
Confindustria stima che il debito pubblico salirà al 139,1% del Pil nel 2024, 1,8 punti di Pil in più rispetto al 2023, e si arrampicherà di altri due punti nel 2025. In questo caso, c’è uno scarto con gli scenari governativi (137,8% del Pil quest’anno e 138,9% il prossimo).

Resta il fatto che quando si approccia l’evoluzione del debito si entra in un campo minato, essendo le variabili in gioco non sempre calcolabili. A oggi, giusto per fare un esempio, è impossibile stabilire la minor spesa per interessi che deriverà dal taglio (o dai tagli) dei tassi della Bce, vista l’assenza di una traiettoria chiara e prestabilita.

Al “toto-debito” si dedica anche il Fondo monetario internazionale che, nel dar conto come il nostro debito passerà dal 139,2% di quest’anno al 140,4% nel 2025, paventa altri sforzi di bilancio nei prossimi due anni. Ovvero, la solita ricetta: tagli alla spesa, magari col ritorno di un vecchio cavallo di battaglia dell’Fmi come l’eliminazione della tredicesima ai pensionati.

Di conforto, il fatto che i grandi esperti di Washington tanto solerti nel ricoprire più volte di miliardi la dissestata Argentina, dalla crisi dei mutui subprime in poi, in fatto di previsioni ne hanno azzeccate meno del mago Otelma.

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