Addio a Bortolussi, l'anti tasse che smascherava il suo Pd

Liberale col cuore a sinistra, per anni alla guida della Cgia di Mestre: era il paladino delle piccole imprese. Il giorno della morte l'ultima analisi

Addio a Bortolussi, l'anti tasse che smascherava il suo Pd

«S iamo meno ricchi, ma paghiamo di più». Ha lavorato fino all'ultimo minuto il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, scomparso nella notte di sabato a 66 anni. Era malato da due anni, ma non aveva mai smesso di inviare i commentari del «suo» Ufficio studi ai principali dati macroeconomici. E come ogni sabato, anche quello fatale, non si è sottratto al suo dovere.

Con Bortolussi se ne va il «grillo parlante» che puntualmente ricordava alla classe dirigente italiana come l'eccesso di pressione fiscale nuocesse al sistema produttivo e industriale fatto di piccole e medie imprese stroncando contemporaneamente la capacità di spesa e quindi di consumo dei cittadini. Forse non è stata una coincidenza che la nota del 3 luglio riguardasse il bene che unisce tutti gli italiani: la casa. Il monito era sempre il medesimo: il mercato sta soffrendo (oltre 1,6 miliardi di valore persi in cinque anni) e le imposte aumentano. Le analisi della Cgia di Mestre sono state sempre effettuate su banche dati di pubblico dominio (come quelle di Bankitalia, Istat e dell'Agenzia delle Entrate), ma il valore aggiunto era proprio l'estrapolazione di quello che si perde nel marasma mediatico quotidiano. E che le stesse istituzioni tendono a passare sotto silenzio per motivi di opportunità politica.

Un ragionamento che vale per il mercato immobiliare, per la pressione fiscale (memorabili le battaglie contro l'Irap), l'eccesso di spesa pubblica e per i debiti non saldati delle pubbliche amministrazioni che, in questo modo, hanno messo in crisi di liquidità molte aziende. A scorrere questo elenco si potrebbe pensare che Bortolussi fosse uomo di centrodestra e, invece, il cuore batteva a sinistra non solo materialmente. Fu due volte assessore a Venezia nelle giunte di Massimo Cacciari e cinque anni fa si candidò presidente della Regione per il Pd contro l'allora astro nascente Luca Zaia. Pur sconfitto, ottenne un risultato migliore di quello della «renziana» Alessandra Moretti. Il suo ex avversario è stato il primo a ricordarlo: «Se ne va un veneto vero che ha difeso il sistema imprenditoriale del Nordest».

Dal capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta («Un serio studioso e un amministratore intelligente») all'ex ministro Maurizio Sacconi («Ha difeso il capitalismo popolare dall'oppressione regolatoria») passando per il neosindaco di Venezia Luigi Brugnaro («Un punto di riferimento per il mondo economico»), non c'è esponente dell'area liberale che non gli abbia tributato un ricordo. In ritardo sono arrivate le condoglianze dal proprio partito con il sottosegretario all'Economia Baretta, la numero due del Pd Serracchiani e persino l'ex Pd Fassina che ha ricordato di «non esser sempre stato d'accordo».

Non è una questione di polemica. È un dato di fatto che Bortolussi rappresentasse quella parte del Pd che cerca di superare la logica del «tassa e spendi», dell'egualitarismo a tutti i costi, del «pubblico è bello e privato è brutto». Bortolussi ha cercato di abbattere quei totem come un don Chisciotte contro i mulini a vento: era un'impresa più forte di lui.

Anzi, chissà quanti nel Pd si saranno sentiti imbarazzati da quell'avvocato mancato (aveva dato tutti gli esami a Giurisprudenza, ma non si era laureato) che dal 1980 aveva reso la Cgia una torre di guardia delle piccole imprese. Parlare di imbarazzo non è esagerato perché Bortolussi non ha risparmiato mai nessuno della sua «parte». Prodi, Monti e persino Renzi sono passati al vaglio delle sue analisi impietose. Che ci mancheranno.

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