Sabrina Cottone
Milano Quasi un milanese su due non ha votato. L'affluenza si è fermata al 51,8 per cento e anche se il calo rispetto al primo turno non è un tracollo (54,65), sono numeri che inquietano in una città che ha sempre amato esserci, farsi sentire, lanciare tendenze. Votare. Così Stefano Parisi, il giorno dopo il risveglio amaro, quasi acido, riflette con insolita durezza al Tg1 sulla data del voto e sull'astensionismo che si è impennato, o forse è stato addirittura gonfiato ad arte.
Anche il neo sindaco, Beppe Sala, parla di tempi, ma col piglio del condottiero che schiera truppe. Nel giro di una settimana promette una giunta politicamente corretta, almeno per la parità tra donne e uomini. Lo sconfitto Parisi non rinnega la coalizione che l'ha sostenuto: «C'è stato un fortissimo ricompattamento del centrodestra». A chi gli chiede se coltivi ambizioni nazionali, risponde che rimarrà a guidare l'opposizione in consiglio comunale. Se pensa a un futuro romano, non è il momento giusto per parlarne, tradito dallo scatto finale degli elettori che non è arrivato, costretto a riflettere su ciò che non è andato all'ultimo miglio. Perché Sala è convinto che «negli ultimi dieci giorni» si sia decisa la gara.
Parisi guarda indietro e più in alto: «Abbiamo portato al secondo turno quasi 30mila voti in più del primo turno, cosa che non capita di frequente. Eppure mezzo milione di milanesi non ha votato. Un problema legato alla data, oltre al fatto che non siamo riusciti a convincere tutti a tornare. C'è un'eccessiva astensione, stiamo allontanando le persone dal voto». Fin qui l'analisi sociologica, poi il candidato sconfitto di misura fa nomi e cognomi.
Il principale responsabile si trova a Palazzo Chigi. «Renzi, se vuole riportare la gente a votare, intanto dovrebbe far votare a maggio e non alla fine di giugno. E poi dovrebbe anche lui capire che cosa sta succedendo, perché mi sembra che anche lui è molto nuovo e non è andato molto bene alle elezioni...». Un invito alla rottamazione precoce? «Non amo il termine rottamazione, ma c'è un tema di rinnovo della politica che non è riuscito a nessuno dei partiti tradizionali. Servono legalità e non ambiguità».
Eufemismi per dire che il premier è un grande sconfitto. Tanto che persino Beppe Sala, è la tesi di fondo di Parisi, ha vinto non grazie a lui ma nonostante lui. «Sala ha detto che non era più Renzi, e ha ricompattato a sinistra, come era naturale che fosse». Dentro c'è un po' di tutto, dal Pd renziano agli orfani del Pci a Sel ai nostalgici di Pisapia ai radicali.
Sala sfoggia l'incoscienza della vittoria: «La coalizione di centrosinistra è ampia e io non ho paura di confrontarmi con persone di qualità e temperamento». E che nessuno speri di sostituirlo al prossimo giro: «La mia ambizione è di governare per dieci anni».