Un attentato al giorno Attacco in Israele sul bus 12 accoltellati

Mattina di sangue a Tel Aviv, giovane palestinese colpisce i passeggeri sulla linea dei pendolari

Un altro giorno di ordinario terrorismo che il mondo non può ignorare. All'alba di ieri il giovane Hamza Muhammed Hasan Matrouk, 23 anni, lascia Tulkarem, dove si trova anche se in genere vive con la madre a Ramallah capitale politica dell'Autonomia Palestinese, prende un coltello ben affilato e raggiunge Tel Aviv. È qui che sull'autobus numero 40, sul quale sale alla vecchia stazione, riesce in pochi minuti a fare dodici feriti di cui 2 molto gravi. È un mare di sangue, di urla, un mostro terrorista che si getta su tutti, uno a uno. I viaggiatori si ammonticchiano sul fondo, il guidatore colpito per primo chiama un amico raccomandandogli il suo bambino. Quando finalmente si riesce ad aprire le porte la furia non si è esaurita: il giovane insegue la preda, brandisce il coltello e si getta su una donna in fuga e la colpisce al collo e colpisce ancora finché la polizia lo ferma e lo cattura. Matrouk, che è un 23enne con la collanina, abituato a introdursi in Israele in cerca di lavoro, ha spiegato in maniera confusa di avere tre ragioni: anche lui, come gli altri terroristi in tutto il mondo, è convinto di compiere una giusta vendetta. Stavolta è per la guerra di Gaza. Spiega che si batte per la Moschea di Al Aqsa, una stella popolare della fantasia islamica, un luogo di perenne offesa e cospirazione, su cui il mantra ripete che gli ebrei vogliono strapparla al mondo islmico. Infine, Matrouk dice di essere uscito di casa con l'idea sicura che sarebbe morto nell'operazione, che si aspettava il paradiso, come ogni buon islamico martire, e pare che abbia accennato anche alla promessa delle 72 vergini destinate a ogni shahid .

Le prime indagini ci descrivono Matrouk uguale a tanti altri terroristi fanatici: un personaggio in cerca di autore, fanatizzato, solo, che realizza l'attentato avendo respirato un odio diffuso e consistente nel mondo di origine, afferra il primo strumento a sua disposizione, e uccide il nemico infedele. Tutto il mondo ha ormai subito attacchi con automobili, asce, coltelli, fucili, quello che è a disposizione o che ha potuto trovare. Sullo sfondo due motori propulsori: il primo quello dell'eccitazione legata all'insorgenza internazionale del terrorismo islamista. Si sa che sono una trentina almeno i terroristi palestinesi passati in Siria per combattere con l'Isis, a Haifa è stata scoperta una cellula di sette terroristi e a Hebron una di tre. Sono state lente e difficoltose la condanne a mezza bocca dell'attacco a Charlie Hebdo dell'Autorità Palestinese nonostante la marcia di Abu Mazen a Parigi, e giustificate al pubblico dal fatto che i palestinesi dovevano essere alla Francia per il riconoscimento dello Stato palestinese. La seconda ragione è quella di una insistente, quotidiana, totale nuvola di odio che copre i media, le scuole, i discorsi pubblici e che esalta il terrore senza un attimo di sosta. Ci sono piazze, corsi, programmi tv per bambini di educazione al terrore. Hamas, alleata di governo di Fatah, è parte dello schieramento internazionale del terrorismo sunnita con finanziamenti dal Qatar. Subito dopo l'attacco di Tel Aviv l'agenzia Shebab ha disegnato un coltello sorridente che gronda sangue e dice «Good morning Palestine» e un altro un autobus che gronda sangue dalle porte.

Gerusalemme e Tel Aviv ricevono la loro porzione quotidiana di terrore come il resto del mondo, non si vede il nesso fra l'aspirazione a uno Stato palestinese e questo attacco, o quello che ha ucciso quattro israeliani in preghiera a colpi di ascia e di fucile il 18 novembre, o l'attacco del 22 ottobre in cui un'auto che si è buttata sulla folla e ha ucciso una bimba di tre mesi e una ragazza.

Israele da sempre in realtà è il primo della fila perché rompe la regola della sharia che non ammette nessuna presenza estranea alla propria religione su territorio islamico. È sempre stato il piccolo Hans col dito nella diga, ma ora che le onde sono altissime non ce la fa più a combattere da solo per tutti.

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