«C'è un visibile effetto positivo sui mercati, come se ci fosse una liberazione da una situazione che ha caratterizzato per troppo tempo il nostro sistema bancario, e che inizia a essere veramente alle nostre spalle». Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, ieri ha sottolineato la stretta continuità tra il decreto per il salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca e l'ok della Commissione alla nazionalizzazione del Monte Paschi. Una notazione che travalica le reazioni positive della Borsa alla sistemazione dei due dossier ed entra direttamente nell'agone politico. Il messaggio è semplice: è stato il governo a togliere le castagne del fuoco mentre la politica e il Pd di Matteo Renzi perdevano tempo.
Eppure fino a ieri pomeriggio l'impasse era talmente evidente da spingere il presidente emerito di Intesa Giovanni Bazoli a lanciare un monito. «Se il decreto non dovesse essere approvato, le conseguenze sarebbero gravi non solo per l'economia del Veneto, ma anche sul piano della credibilità del Paese perché sarebbe un segno molto preoccupante dell'impossibilità in Italia di trovare soluzioni ai nostri problemi», ha dichiarato. Bankitalia nella memoria depositata in commissione Finanze alla Camera ha evidenziato come Intesa sia l'extrema ratio rispetto a una liquidazione atomistica. «Circa 100mila pmi e 200mila famiglie sarebbero state costrette a restituire per intero i crediti (circa 26 miliardi)» cui sarebbero seguite molte insolvenze, si legge nel testo ove si specifica che «sarebbero serviti anni a depositanti e obbligazionisti senior, per ottenere il rimborso (circa 20 miliardi) e il Fondo interbancario di tutela dei depositi avrebbe dovuto far fronte a un esborso immediato per circa 10 miliardi, di cui si sarebbe dovuto fare carico il sistema bancario». L'intervento dello Stato ha, quindi, evitato l'Apocalisse incombente.
Resta da chiedersi perché l'urgenza di salvare i due istituti non sia prevalente rispetto ad altre considerazioni. La risposta è nelle parole di Roberto Fico, deputato di quel M5S che è artefice di circa 300 proposte di modifica. «Il Pd è un arcipelago che più approfondisce i temi più si spacca», ha detto. Insomma, una trappola parlamentare per mettere in evidenza le contraddizioni piddine. Il partito di Renzi è stato costretto a un'assemblea del gruppo alla Camera stamattina alle 8.30. Il solito regolamento di conti interno al Pd ha fatto correre un brivido lungo la schiena di molti banchieri italiani. La contrarietà del governatore pugliese Michele Emiliano al decreto definito «invotabile» e la presentazione di centinaia di emendamenti (500 ieri in discussione) al testo ha creato non poco disagio nel sistema.
Quando lunedì il governo porrà la fiducia in Aula non ci dovrebbero essere problemi, anche Pier Luigi Bersani, leader di Mdp, ha promesso che non farà questioni. Pure i deputati vicini a Emiliano dovrebbero dire sì. Il titolare del Tesoro, però, ha rivolto ugualmente un appello confidando «massima fiducia nella saggezza del Parlamento».
Non si può perdere tempo, perciò, a questionare con Michele Emiliano le cui domande sono «basate su una scarsa conoscenza dei fatti, qualcuno mi dimostri che si potevano trovare soluzioni migliori». Domani, intanto, partirà il negoziato sugli esuberi dei due istituti. Il segretario della Uilca, Massimo Masi, ha ribadito che le uscite dovranno essere «esclusivamente su base volontaria».
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