La Bce smonta il falso mito dei profughi che salvano il Pil

Secondo l'Eurotower la ripresa è sostenuta da donne e da immigrati, ma provenienti dai Paesi dell'Est Europa

La Bce smonta il falso mito dei profughi che salvano  il Pil

L'area euro deve ringraziare l'«idraulico polacco» per l'incremento della forza lavoro che sostiene la ripresa in atto. È quanto emerge dall'ultimo Bollettino mensile della Bce pubblicato ieri nel quale si sottolinea che «l'immigrazione ha dato un ampio contributo positivo alla popolazione in età lavorativa riflettendo soprattutto l'afflusso di lavoratori dai nuovi stati membri dell'Unione europea». In particolare, l'immigrazione ha avuto un «effetto considerevole» sulla forza lavoro in particolare Italia e Germania». Il nostro Paese, tuttavia, «non soddisfa ancora i requisiti per una «riduzione significativa della disoccupazione», sottolinea l'Eurotower. L'Inps, infatti, ha rilevato che nei primi 7 mesi dell'anno, infatti, le assunzioni, al netto delle cessazioni, sono cresciute di 1.073.000 unità. A trainare la robusta crescita soprattutto i contratti a tempo determinato, che salgono complessivamente del 25,9%.

L'analisi degli economisti che lavorano per Mario Draghi è molto tecnica anche se, di riflesso, ha una valenza politica anch'essa molto forte. In pratica, si spiega che il massiccio afflusso di immigrati seguito all'allargamento dell'Ue nel 2004 e che ha avuto un picco tra il 2007 e il 2009 rimanendo poi su livelli costanti (le statistiche si possono riassumere in un flusso di circa 10 milioni di persone nei maggiori Paesi dell'Unione) ha contribuito a incrementare il tasso di partecipazione e l'offerta di lavoro che, senza questa componente, sarebbe diminuita per via del progressivo invecchiamento della popolazione. In questo modo la domanda di lavoro ha potuto trovare uno sbocco quando la ripresa si è avviata e così sono cresciuti consumi e Pil.

E qui si passa alla conseguenze «politiche» delle precedenti affermazioni. Implicitamente l'Eurotower ha riaffermato l'importanza dell'Ue e della moneta unica come spazio economico efficiente («ottimale» per gli economisti) in quanto si incoraggia la mobilità dei lavoratori contenendo in questo modo le pressioni salariali. Ne consegue che non c'è necessità di importare manodopera dall'Africa per esplicare il potenziale dell'euro.

Il Bollettino contiene, inoltre, una revisione al rialzo delle stime di crescita del Pil di Eurolandia nel 2017 al 2,2%, cui dovrebbe seguire un +1,8% l'anno prossimo e un +1,7 in quello successivo. La dinamica dell'inflazione resterà modesta: dal +1,5% di quest'anno si dovrebbe scendere al +1,2% nel 2018, ben lontani dall'obiettivo del 2% fissato dallo statuto. Ecco perché il Consiglio direttivo della Bce ha concluso che «è necessario continuare a fornire un grado molto elevato di accomodamento monetario». In ogni caso, sarà la riunione del 26 ottobre a decidere «riguardo alla calibrazione degli strumenti di politica monetaria nel periodo successivo a fine anno».

Un ulteriore rallentamento degli acquisti di titoli di Stato (già sceso da 80 a 60 miliardi di euro al mese) potrebbe produrre effetti negativi sulle economie dei Paesi ad alto debito come l'Italia.

Altri rischi esogeni per l'area provengono, invece, dal mercato dei cambi ove il rafforzamento repentino dell'euro «è fonte di incertezza sull'andamento dell'inflazione». Per Mario Draghi non sarà facile trovare un compromesso sul quantitative easing con la Germania che avrebbe già voluto terminarlo. All'Italia non resta che sperare.

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