La bolla asiatica fa paura Vale 15 volte il Pil greco

A spaventare gli investitori è stata soprattutto la sospensione dalle contrattazioni del 72 per cento del listino tra le 1331 aziende che hanno interrotto le negoziazioni sui mercato e i 747 titoli sospesi per eccesso di ribasso

La bolla asiatica fa paura Vale 15 volte il Pil greco

L a bolla finanziaria cinese travolge i mercati e il mondo trema. Non si tratta solo delle forti perdite registrate dai listini cinesi (Shanghai ha perso il 5,9 per cento e Shenzhen il 2,5). A spaventare gli investitori è stata soprattutto la sospensione dalle contrattazioni del 72 per cento del listino tra le 1331 aziende che hanno interrotto le negoziazioni sui mercato e i 747 titoli sospesi per eccesso di ribasso. Insomma un mercato congelato, da cui non era possibile uscire. La stessa China Securities Regulatory Commission ha parlato di contrattazioni dominate da un «clima di panico». Pechino è prontamente, di nuovo, intervenuta, con la Assets Supervision and Administration Commission of the State Council (istituzione che controlla i colossi statali) che ha ordinato alle società pubbliche di acquistare i rispettivi titoli per stabilizzare il valore delle azioni. La mossa tuttavia non è bastata ad arginare le vendite, così come non le hanno frenate le recenti iniezioni di liquidità sui mercati da parte della People's Bank of China, la costituzione di appositi fondi, il taglio del 30 per cento delle commissioni sulle transazioni finanziarie operativo dal 1° agosto e il permesso ai fondi pensione di acquistare titoli azionari. Pechino in meno di un mese, ha bruciato all'incirca 3500 miliardi di dollari, un valore pari a circa 15 volte il prodotto interno lordo greco.

Dopo un rally del 150 per cento messo a segno in dodici mesi, dal 12 giugno per lo Shanghai Composite è precipitato del 32 per cento, il più speculativo ChiNext Index ha perso oltre il 42 per cento del suo valore e lo Shenzhen Composite Index è crollato del 40. Un'emorragia inarrestabile che ha travolto milioni di investitori attratti dal miraggio di facili guadagni e da una regolamentazione favorevole per cui, come spiega Vincenzo Longo di IG, «era consentito investire per un controvalore di 100mila mettendo a margine solo mille (ovvero pagando, ndr ), con una leva quindi di cento. Il che ha incentivato una larga schiera di piccoli investitori al operare sulle azioni cinesi. Quando hanno iniziato a ridurre la leva, ovvero a richiedere più soldi da mettere a copertura degli investimenti, sono scattate le vendite». E il panico è dilagato, ancora più velocemente visto che si tratta di una piazza finanziaria dominata da piccoli investitori privati.

La stampa anglosassone paventa un altro 1929, una nuova grande depressione che dalla Cina continentale passi a Hong Kong, per poi proseguire con listini asiatici e propagarsi al resto del mondo. Ma non manca chi getta acqua sul fuoco come Craig Botham, economista di Schroders per i mercati emergenti che sottolinea come «l'economia reale cinese sia abbastanza sconnessa dal mercato finanziario», una situazione quindi che potrebbe limitare gli effetti del crash . Dello stesso avviso Paul Hickey, cofondatore di Bespoke Investment, group che ricorda come, negli ultimi due anni, il mercato finanziario cinese sia stato mosso da logiche speculative distinte rispetto a quelle propriamente economiche. Ed è l'economia reale cinese e non la piazza finanziaria a essere legata a doppio filo con l'economia degli altri Paesi, Italia compresa.

«È scoppiata la bolla, mi aspetto ulteriori discese, ma non siamo ad un nuovo 1929 e credo neanche a un nuovo 2008 visto che il mondo ha praticamente zero virgola qualche azione cinese. Correzioni quindi, magari anche globali, ma niente panico», conclude Massimo Siano, a capo di Etf Southern Europe.

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