La Brexit esce dalla nebbia «Pronto il testo dell'intesa»

Il capo negoziatore Barnier: accordo completo su diritti dei cittadini e conto del divorzio. Resta il nodo Irlanda

Davide Zamberlan

Londra Di questi tempi business as usual a Londra significa parlare di Brexit. E dopo le vicende da spystory degli scorsi giorni, si è tornato a parlare dei termini del divorzio tra il Regno Unito e il resto dell'Unione Europea. A Bruxelles ieri si sono infatti incontrati il capo negoziatore europeo Michel Barnier e il ministro inglese per la Brexit, David Davis. Le due parti hanno trovato un accordo sull'estensione del periodo di transizione, richiesto da May nel discorso di Firenze dello scorso 22 settembre, che terminerà il 31 dicembre 2020. Dopo quella data, ognuno definitivamente per la sua strada. Durante questo periodo di circa 21 mesi il Regno Unito manterrà l'accesso al mercato unico, pur perdendo la possibilità di influire sulle decisioni europee. Potrà tuttavia stringere accordi commerciali con altri Paesi, in autonomia da Bruxelles, che diverranno operativi solo dal 2021. Un compromesso soddisfacente, che consente a entrambe le parti di portare a casa qualcosa. La sterlina si è immediatamente apprezzata nei confronti della moneta unica toccando i massimi da circa un mese e mezzo. Per poi ritracciare ma mantenendosi comunque relativamente forte contro l'euro.

Sì perché non sono tutte rose per Londra. Nell'accordo, che è pur sempre una bozza elaborata dai tecnici di entrambe le parti, Bruxelles ha fatto suoi alcuni punti importanti. Il primo riguarda i cittadini europei che arriveranno nel Regno Unito durante il periodo di transizione. Londra ha concesso di estendere anche a loro gli stessi diritti che avranno gli europei che si troveranno al di là della Manica prima dell'entrata in vigore della Brexit, il 29 marzo 2019.

Ma il vero pomo della discordia rimane il confine nord irlandese. Negli ultimi mesi Dublino ha più volte ribadito che porrà il veto su ogni accordo che dovesse implicare un ritorno a un confine fisico tra l'Irlanda del Nord e il resto dell'isola. Londra, di contro, ha fumosamente fatto riferimento a soluzioni tecniche non meglio specificate per gestire il passaggio di merci e servizi, facendo la voce grossa per ribadire l'integrità del Regno: non sarà accettato per Belfast nessuno status diverso rispetto al resto del Regno. Ieri tuttavia Londra ha accettato che nell'accordo di separazione venga inserita una clausola che escluda la possibilità di un ritorno a un confine fisico. Quella che è stata definita una back stop option. A proposito della quale i negoziatori inglesi hanno precisato che «rimane nostra intenzione raggiungere un accordo di paternariato con l'Ue così stretto per il quale non saranno necessarie misure specifiche per l'Irlanda del Nord». Theresa May è consapevole che questo è il punto più difficile di tutto il processo negoziale, quello che più di ogni altro potrebbe far cadere il suo governo. La manciata di voti del Dup il partito democratico unionista dell'Irlanda del Nord si opporrà a qualsiasi soluzione che porterà Belfast ad avere uno status diverso dal resto delle nazioni del Regno Unito. Un trattamento ad hoc che, temono gli unionisti, potrebbe essere il primo passo verso l'unificazione dell'isola. Le prime reazioni dei brexiters non sono state molto concilianti. «È totalmente inutile e se ne deve andare» ha commentato Nigel Farage, l'ex leader del partito Ukip riferendosi al premier inglese.

Voci critiche anche dal campo dei remainers secondo cui sono state fatte troppe concessioni a

chi vuole lasciare Bruxelles. Indicativa la serenità espressa dal Dup, non preoccupato dall'accordo perché lascia la questione del confine irlandese irrisolta: ancora una volta si è posticipata la decisione più importante.

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