S e cucinare è un atto di amore, può esserlo anche smettere di farlo. Oppure decidere semplicemente di vivere la cucina in modo differente. Come ha ammesso ieri di voler fare, in un post su Facebook, Francesco Brutto, uno dei giovin cuochi emergenti d'Italia. Brutto ha annunciato che il 30 aprile farà l'ultimo servizio a Undicesimo Vineria, il locale di Treviso che ha trascinati quasi da solo alla stella, e poi chiuderà bottega. Troppa fatica, troppa ambizione, troppo tutto. «L'impegno che riverso nel lavoro - spiega - sfoca e offusca i paesaggi e le persone che mi stanno accanto». A partire dalla fidanzata, Chiara Pavan, che guida la cucina anch'essa stellata di Venissa, il wine resort sull'isola veneziana di Mazzorbo. I due collaborano, si sfidano, si stimolano. Ma che fatica. «Voglio più tempo per baciare la mia compagna e per abbracciare i miei genitori». Ma anche «per finire almeno uno di quei quattro libri sul comodino che mi trascinavo da anni» e «per vestirmi bene il sabato e il venerdì sera e uscire con gli amici».
Una scelta di rottura quella di Francesco, che non ha nulla a che vedere con l'emergenza coronavirus che svuota i ristoranti («Come capirai non è una decisione di pochi giorni fa», ci dice) ma che comunque è in qualche modo in coerenza con questa angosciante fase della nostra storia in cui ciascuno di noi è costretto a sparigliare le proprie priorità e a riflettere su se stesso.
Francesco, una scelta d'amore quindi?
«Certo, cucinare è amare. Amare la propria cucina, il proprio ristorante, i propri piatti, i tuoi dipendenti, i tuoi coltelli, le materie prime che ogni giorno entrano dalla porta sul retro. Ma quelli come me che amano profondamente quello che fanno dimenticano talvolta che l'amore non può essere investito in un'unica direzione».
Sei stanco?
«Stanco di sentirmi inadeguato, mai abbastanza bravo, banale».
Una critica all'autoreferenzialità dell'alta cucina?
«Diciamo che riconoscimenti, guide, conferenze offuscano tutto il resto e ci fanno restare concentrati su un solo obiettivo».
Resta il fatto che lasciare un ristorante lanciato come Undicesimo appare una scelta davvero punk...
«Diciamo che dietro ci sono riflessioni anche imprenditoriali. Per crescere ancora avremmo dovuto fare, io e il mio socio Regis Freitas, più coperti e un investimento che non era giustificato dal luogo. Siamo a Treviso, una città fuori dalle rotte del turismo».
Eppure il tuo ristorante è sempre pieno.
«Certo ma alla fine dobbiamo pensare che in Italia ci saranno, che so, 10mila ristoranti con pretese gourmet, per accontentare un pubblico che alla fine è sempre lo stesso. Treviso ha 80mila abitanti e forse 600 persone disposte a spendere per venire in un locale come il mio. E più l'offerta cresce più la domanda si parcellizza».
Un messaggio a tutto il sistema della gastronomia italiana?
«Io non lancio messaggi, ognuno segue la sua strada. Ma certo bisogna riflettere che il Veneto perde due locali di cucina creativa, oltre al mio c'è Aga di San Viti di Cadore, chiuso qualche mese fa. Questo è un messaggio».
Tu però non molli, la tua è solo una pausa...
«Intanto mi prenderò il tempo per studiare e sperimentare, già prima trascorrevo molto tempo nel laboratorio. Poi darò una mano a Chiara a Venissa. E poi potrò anche girare per le cucine degli amici, divertirmi. Cosa che oggi non posso fare perché se manco io Undicesimo deve chiudere».
E ai tuoi clienti affezionati
che dici?«Di aspettarmi, di rendermi l'uno per mille del tempo e dell'amore riversato nella mia cucina, di fidarsi di me. E magari di chiedersi a loro volta se sono liberi e se sanno ancora esserlo. Hai visto mai».
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