Caio aumenta la quota, ma pone nuove condizioni che non piacciono agli altri azionisti

Caio aumenta la quota, ma pone nuove condizioni che non piacciono agli altri azionisti

Si avvicina l'accordo finale per l'alleanza tra Alitalia ed Etihad, ma fino all'ultimo il fiato è sospeso. La giornata di ieri viene descritta come densa di nervosismo, con gli ultimi bracci di ferro tanto più duri quanto consapevoli di una conclusione imminente. James Hogan, giunto a Roma tra le cataste di bagagli di Fiumicino, da qualcuno è stato descritto come prossimo alla soglia massima di sopportazione. È difficile, dall'estero, capire l'Italia; e forse anche per un manager come il numero uno di Etihad è arduo seguire i bizantinismi utilizzati per costruire l'operazione.

Hogan intende arrivare alla conclusione entro venerdì e la giornata di ieri è stata febbrile. In mattinata i principali azionisti italiani, quelli rimasti protagonisti di quest'ultima fase - Intesa, Unicredit, Atlantia, Poste - si sono rivisti al ministero dell'Economia. Nel pomeriggio Hogan ha incontrato prima all'hotel Eden il presidente Roberto Colaninno e l'ad di Atlantia Giovanni Castellucci, poi, negli uffici di JP Morgan, i rappresentanti dell'azionariato e Gabriele Del Torchio, l'ad di Alitalia; tra questi è stata rilevata l'assenza di Francesco Caio, ad di Poste, il quale in questo momento sta tenendo sotto scacco le banche e l'intera operazione. E che ieri ha fatto un gesto per alcuni versi inaspettato: ha aumentato ulteriormente, a 75 milioni, l'apporto della società del Tesoro. A patto naturalmente che vengano accolte le sue richieste, il vero nodo delle ultime discussioni.

L'assemblea di Alitalia, venerdì, delibererà l'aumento di capitale da 300 milioni (o meglio, la rettifica del precedente che era di 250). Di questi, Poste è disponibile a versare, appunto, 75 milioni, ma a due condizioni: 1: che questo denaro vada nella mid company , per confluire, attraverso questa, nella new company con Etihad, finanziando lo sviluppo di un'impresa industriale e non perdite pregresse (un'impostazione coerente con l'obiettivo di privatizzazione di Poste e prudente sotto il delicato aspetto degli aiuti di Stato); 2: di versare questo denaro al closing dell'operazione, presumibilmente alla fine dell'anno, in grande contemporanea con il versamento di Etihad. Motivazioni: effettuando ora il versamento, esso sarebbe a rischio se per caso Etihad si ritirasse all'ultimo momento o l'operazione venisse cassata dall'Ue. Inoltre, solo così la visione industriale sarebbe rispettata.

Ma la posizione di Poste non è stata ancora digerita dalle banche e da Atlantia, azionisti che dovrebbero spartirsi l'onere nella vecchia Alitalia, dove il versamento ha minori prospettive. Parte del denaro da raccogliere (100 milioni) andrebbe a garanzia dei contenziosi legati al passato, il resto (200) dovrebbe sostenere la gestione ordinaria della compagnia per finanziarla fino all'ingresso degli arabi. Ma se i 75 milioni delle Poste vengono versati nella midco , cioè altrove, come potrà essere garantita la sopravvivenza della compagnia fino a fine anno? Il tema centrale è proprio questo: basteranno 125 milioni? Chi vede i conti di Alitalia esprime molte perplessità. Una nota distensiva, comunque, è venuta ieri da Federico Ghizzoni, ad di Unicredit: «Penso che si stia procedendo nella direzione giusta, che si sia vicini alla firma dell'accordo. Sono relativamente ottimista. Non registro criticità».

Anche sul fronte sindacale Hogan trova un panorama confuso: le agitazioni del personale di terra sono figlie degli accordi quadro sugli esuberi, non

sottoscritti dalla Cgil, che ora passano alla fase applicativa. La Uil invece non ha firmato il contratto collettivo e i tagli in busta paga. Viste da Abu Dhabi, anche queste sono vicende difficili da capire e da accettare.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica