San Paolo Non ce la fanno più le messicane, sono esasperate dai femminicidi e perciò ieri hanno annunciato uno «sciopero delle donne» che si preannuncia storico, il prossimo 9 marzo. La strage è infinita e non risparmia neanche le bambine, come Fatima Cecilia Aldrighett, scricciolo di un metro e 20, con il caschetto castano e sempre sorridente. «Fatima, come la Madonna», singhiozza mamma Magdalena.
La bimba, 7 anni, era stata sequestrata all'uscita da scuola, a Città del Messico, lo scorso 11 febbraio. «Quando abbiamo saputo che era stata messa alla porta dalle autorità scolastiche racconta la zia perché sua mamma era in lieve ritardo per il traffico e che una donna sconosciuta l'aveva portata via, siamo andati subito a fare la denuncia in commissariato. Scandalosamente, però, la Polizia non ha preso nota, né ha iniziato le ricerche». In Messico infatti - proprio come in Italia, come denuncia da anni Chi l'ha visto - devono trascorrere 24 ore dalla scomparsa perché le forze dell'ordine si attivino.
«Siamo stati lasciati soli dalle autorità», si sfoga mamma Magdalena. Già, perché dopo la scomparsa, la bambina è stata prima portata in una casupola, poi torturata a lungo e violentata e, infine, il suo corpicino gettato in un sacco di plastica ed abbandonato a Tláhuac, cittadina dell'hinterland della capitale, dov'è stato trovato domenica scorsa. «Se avessero subito visionato le telecamere della zona, come avevamo chiesto, Fatima sarebbe viva», denunciano i famigliari all'unisono.
Hanno ragione visto che, nonostante i ritardi, i poliziotti hanno poi individuato subito gli assassini- una coppia che conosceva a loro dire sia la bambina che sua madre- proprio grazie alle immagini delle telecamere della scuola dove Fatima era stata rapita. Diramate le foto a tutte le tv messicane e grazie a una loro zia che li ha riconosciuti e denunciati, prima sono stati catturati e, ieri, finalmente trasferiti in due prigioni separate di massima sicurezza un uomo, Mario, e sua moglie, Giovana (i cognomi non sono stati divulgati).
Sul banco degli imputati, da settimane, c'è però anche il presidente Andrés Manuel López Obrador, criticato dalle femministe per non aver fatto nulla di concreto contro i femminicidi, in costante aumento nonostante se ne parli da anni. Al centro delle polemiche i protocolli di sicurezza delle scuole messicane, che non dovrebbero mettere alla porta bambini di 7 anni quando suona la campanella, e la burocrazia che rallenta l'inizio delle ricerche nelle prime 24 ore, quelle più importanti in ogni sequestro.
Per questo e per vedere riconosciuti i loro diritti alla vita, il prossimo 9 marzo è stata dunque proclamata «la prima giornata senza donne» in Messico.
«Nessuna di noi andrà a lavorare, nessuna bambina si recherà a scuola e vedremo se finalmente faranno qualcosa», spiegano esasperate le associazioni che, appoggiate dalle principali attrici di soap opera, hanno organizzato la «giornata senza donne». La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il martirio di Fatima, l'ispirazione è però arrivata dal film «Un giorno senza messicani», che nel 2004 immaginava gli Stati Uniti senza manodopera latina. Quella era fiction mentre, ora, le messicane incrociano le braccia sul serio.
Claudia Sheinbaum, sindaco della capitale, ha detto ieri di appoggiare lo sciopero femminile. «Faremo di tutto perché non ci sia nessuna rappresaglia da parte dei datori di lavoro», ha detto.
Speriamo sia così visto che «in Messico muore ammazzata una donna ogni due ore, una situazione vergognosa, peggiore anche dell'Afghanistan», denunciano i famigliari di Marisela Escobedo Ortiz, freddata qualche anno fa solo perché chiedeva che l'assassino di sua figlia, noto alle autorità di Chihuahua, venisse arrestato. Non ottenne giustizia e, anzi, perse la vita.
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