"Che rabbia lo sciopero. Il mio 8 marzo festeggiato lavorando"

L'imprenditrice e mamma di cinque figli: «Così danneggiati solo pendolari e genitori»

"Che rabbia lo sciopero. Il mio 8 marzo festeggiato lavorando"

Marina Salamon, imprenditrice e mamma di cinque figli, come ha festeggiato l'8 marzo?

«Lavorando normalmente».

Nessuno le ha regalato dei fiori, qualche mimosa in azienda?

«No assolutamente».

Nessun regalo alle sue dipendenti?

«Ma no, dai. Perché questa discriminazione? Nelle mie aziende quello che conta è il ruolo ricoperto e il merito, le donne sono la maggioranza, ho tantissime dirigenti, le retribuzioni sono identiche agli uomini e rispetto le esigenze di tutti».

Quindi non condivide lo sciopero di ieri in onore dell'8 marzo?

«L'altra sera leggendo la notizia mi è uscito il fumo dal naso. Ma siccome sono moderata ho twittato solo un non sono d'accordo, non si fa così».

Così come?

«Facendo un disastro e mettendo nei guai mezzo paese. Cobas e Cgil hanno convocato una protesta che ha colpito nel pubblico, scuole e trasporti. Complimenti a tutti per aver danneggiato pendolari e genitori che ieri hanno dovuto occuparsi anche dei figli rimasti a casa, per colpa delle scuole sguarnite di personale. Bella festa».

Pensa che sia stata stravolto il senso dell'8 marzo?

«C'è stato un uso strumentale di un problema molto serio. E' mancato anche il rispetto delle ragioni originarie della festa in cui delle donne morirono sul posto di lavoro. Ma forse scioperare è il modo di certi sindacati di sentirsi ancora vivi».

Come si fa ad attirare l'attenzione sulla violenza contro le donne?

«Di certo non con uno sciopero. Un violentatore o uno che picchia le donne cambia opinione dopo aver visto un corteo e mimose? Direi di no».

Lei ha un messaggio per le donne?

«Dobbiamo stimare più noi stesse perché la poca autostima è molto dannosa. Dobbiamo sopportare la fatica di essere la prima generazione del cambiamento. Le nostre madri vivevano un ruolo prevedibile, adesso per noi c'è il lavoro, i figli, il partner. Dilaga anche la fragilità affettiva, i matrimoni saltano. Ma queste difficoltà non possono essere ridotte a cose politiche. Dopo il femminismo e le veline è il caso di riprogettare in modo più equilibrato il ruolo della donna».

Le leggi non bastano?

«Molte sono ormai antiquate. Servono orari più flessibili, con parte del lavoro da poter gestire da casa. Per molti mestieri non serve stare dietro la scrivania a tempo pieno. E poi andrebbe riconsiderata la legge sul part-time e sulla maternità, personalmente troppo rigida e dannosa per la donna che automaticamente viene estromessa dai processi produttivi».

Nelle sue aziende si respira questa filosofia?

«Chi chiede di poter uscire prima per partecipare ad una recita o per parlare con un professore può farlo. Ci sono capitati dei papà separati che dovevano andare a prendere i figli all'asilo e sono stati accontentati. Ci sono state riunioni in cui qualcuno dice: scusate non facciamola finire tardie nessuno si scandalizza».

Il lato privato delle donne è però costellato di violenza, anche domestica.

«Bisogna avere il coraggio di denunciare e non pensare che il proprio compagno non sia mai cattivo. Ho viste tante donne magnifiche e intelligenti, lucidissime sul lavoro ma fragili nel privato, che pensavano di poter cambiare il compagno e si sono fatte molto male».

Come lo spiega questo antagonismo tra uomo e donna?

«Molti uomini sono destabilizzati, si sentono frustrati e privi di identità proprio perché il ruolo della donna è cambiato.

Molti reagiscono in modo sgangherato. Una mia amica mi ha raccontato che una sera suo marito, persona tranquilla ed equilibrata, le ha strappato dalle mani il computer che lei stava consultando e lo ha scaraventato lontano dicendo: adesso basta...».

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