Il vero vincitore del braccio di ferro europeo sulla questione della redistribuzione dei migranti è Viktor Orbàn. Appare sempre più chiaro, dopo il solito «franco dibattito» (diplomatichese che sta per scontro di opinioni inconciliabili) tenuto ieri tra i Ventotto a Salisburgo, che la linea sostenuta dal «gruppo di Visegrad» guidato dall'Ungheria sovranista e a cui l'Austria di Sebastian Kurz strizza l'occhio a giorni alterni, sta ormai seppellendo quella appoggiata dall'Italia. Fine, dunque, della obbligatorietà di quote di migranti da distribuire in ciascun Paese membro dell'Unione e sì al diritto, per i Paesi che di accogliere i disgraziati sbarcati dai barconi non ne vogliono sapere, di compensare il loro rifiuto versando contributi finanziari.
In soldoni (è davvero il caso di dirlo): denaro e non migranti. Il premier Giuseppe Conte, spiegando ai giornalisti a Salisburgo la linea del governo italiano, non ha potuto evitare una certa vaghezza. È vero - ha ammesso - che il dibattito al vertice è stato orientato a fare concessioni ai Paesi che rifiutano la redistribuzione, ma questo sarà accettabile solo se questi Paesi saranno pochi. Quanto pochi debbano essere perché si trovi l'intesa e perché l'Italia la sottoscriva non è parso però chiarissimo. Al momento sembra che siano una decina e se si esclude la Polonia, non dei più «pesanti»: l'Ungheria ovviamente, e poi Cechia, Slovacchia, Austria, Finlandia e i tre Baltici.
Se ne riparlerà alla prossima puntata, ossia al summit «operativo» (questo di Salisburgo era informale) fissato per l'11 ottobre. Intanto si registrano le lagnanze. Oltre a quella - scontata e sostanzialmente inascoltata - di Conte, c'è quella della Merkel e soprattutto quella, puntuta come sua abitudine, del presidente francese Emmanuel Macron, arrabbiatissimo con quei Paesi che «scambiano l'Europa, che è un progetto politico, per un menu à la carte». Ce n'è per tutti: per chi rifiuta di aprire i suoi porti nonostante siano i più vicini causando crisi e tensioni (l'Italia), per chi ama l'Unione quando ne trae vantaggi ma «genera problemi» rifiutando l'accoglienza e «non rispetta le regole» (l'Ungheria e i suoi amici di Visegrad, ma non solo loro, come abbiamo visto). Fino alla minaccia finale: cacciare dall'area Schengen chi si oppone a prendersi quote di migranti e a potenziare Frontex. Furbate e ipocrisie della sua Francia, che respinge migranti a tutto andare, non vengono ricordate.
In ultima analisi, come purtroppo ampiamente previsto, a Salisburgo si è molto parlato ma a parte l'impegno a un vertice per parlare con il Nord Africa non si è trovata alcuna intesa.
Nemmeno - con gran fastidio di Macron - sull'estensione di Frontex, unico punto su cui il governo italiano e i suoi simpatizzanti di Budapest e di Vienna sono d'accordo. Al campo sovranista mitteleuropeo quella polizia europea di frontiera rafforzata non piace, ma per paradosso essa sembra essere l'unica alternativa all'aborrita redistribuzione.
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