Economia

Ma le Cine sono due E si sfidano ancora

nostro inviato a TaipeiAnche se molti qui in Europa se ne dimenticano, non esiste una sola Cina, ma due. L'amnesia si spiega col fatto che la «sorella maggiore» è di gran lunga il Paese più popolato del mondo e svolge un ruolo crescente sul palcoscenico internazionale, mentre la minore ha dimensioni modeste e assai scarsa visibilità fuori dei suoi confini insulari. La Repubblica Popolare cinese, il colosso con oltre 1,3 miliardi di abitanti, schiaccia dunque la piccola ma orgogliosa Repubblica di Cina, più conosciuta come Taiwan, un'isola grande una volta e mezzo la Sicilia con «solo» 23 milioni di residenti. Ma le due Cine, incompatibili tra loro per complesse ragioni storico-politiche, esistono e coesistono. E soprattutto, si sfidano ancora.

La prima è conosciuta per il colore rosso del suo regime autocratico, annacquato dalle riforme economiche che negli ultimi 25 anni l'hanno trasformata in una potentissima «tigre asiatica». La seconda, una società libera e aperta erede diretta della Cina nazionalista che fu di Chiang Kai Shek, non potendo più da tempo competere con i prezzi alla produzione praticati da Pechino, ha saputo trasformare la sua economia mantenendo altissimi livelli di qualità: oggi la sua eccellenza è nella tecnologia elettronica, con un piede già nel futuro in quella che sarà l'economia dei prossimi decenni, quella «verde».

La sfida ineguale tra le due Cine ha cambiato volto in questi decenni, ma non è mai davvero finita. Non sono più i tempi un cui ciascuna delle due parti pretendeva semplicemente di rappresentare davanti al mondo l'intero Paese: oggi i due governi coesistono pacificamente grazie a un sottile gioco diplomatico, basato sulla reciproca convenienza e su una serie di finzioni. La convenienza è soprattutto economica, con scambi crescenti tra le due sponde dello Stretto e un numero impressionante di aziende taiwanesi che delocalizzano sulla terraferma. Le finzioni sono politiche: a livello internazionale si sostiene che la Cina è una sola (di fatto quella di Pechino, che già negli anni Settanta ha preso il posto all'Onu e nelle altre organizzazioni internazionali di Taiwan), e si afferma che prima o poi si arriverà a una riunificazione pacifica. Ma la verità è che la piccola Taiwan sopravvive alle mire di Pechino - che continua a definirla una sua provincia ribelle - solo perché è armata fino ai denti. E il colmo dell'ipocrisia è nel fatto che le armi gliele vendono gli Stati Uniti, che la trattano in sostanza come un alleato ma ufficialmente non riconoscono la sua indipendenza.

L'attuale presidente taiwanese Ma Ying-jeou parla sempre di pace ed è attento a evitare frizioni con Pechino, ma non rinuncia all'orgoglio delle radici nazionaliste che il suo partito Kuomintang storicamente rappresenta. Lo ha fatto ancora in questi giorni, replicando con i fatti ai roboanti annunci del colosso comunista di una maxi parata militare per celebrare in settembre a Pechino la cosiddetta «Guerra di Resistenza del Popolo Cinese contro l'Aggressione Giapponese e nella Guerra Mondiale Anti-Fascista». Il leader taiwanese ha fatto sfilare sabato a Taipei migliaia di soldati in una celebrazione della vittoria della Cina nella seconda guerra mondiale che ha tutt'altro sapore e significato storico. «La guerra di resistenza fu guidata dalla Repubblica di Cina e il suo ispiratore fu il presidente Chiang Kai Shek, nessuno può distorcere questa verità», ha affermato Ma al termine della parata.

Piccoli ma tosti, insomma. In un periodo in cui Pechino soffoca ogni opposizione e alza la voce con i suoi vicini e con l'America, viene da pensare che il mondo avrebbe meno brutti pensieri se le dimensioni delle due Cine fossero l'opposto di quelle reali. La liberale Taiwan avrebbe molto da insegnare in tanti campi. Un esempio è quello ambientale, nel quale l'isola rispetta e supera le raccomandazioni internazionali in tema di riduzione di emissioni di gas serra e uso di energie rinnovabili. Le grandi città taiwanesi si sono da tempo «ripulite» e godono (compatibilmente con il capriccioso clima locale) di cieli limpidi. Tutto il contrario di Pechino e Shanghai, solo per fare due esempi noti a tutti, afflitte da un inquinamento atmosferico drammatico che impedisce di vedere il sole per settimane e costringe decine di milioni di cinesi a usare mascherine protettive, mentre le autorità si limitano a promettere cambiamenti. Nonostante il colosso di terraferma abbia la spiacevole nomea di massimo inquinatore mondiale, la Cina «popolare» ha accesso a tutte le istituzioni internazionali che si occupano di protezione dell'ambiente, mentre Taiwan ne è esclusa. La causa di questa assurdità è politica, come si diceva all'inizio.

E il fatto che difficilmente in futuro questo assurdo possa essere sanato dimostra purtroppo che la politica è l'arte del possibile, ma non del giusto.

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