«Battisti? Un personaggio indifendibile anche nello stesso panorama della lotta armata. Lui e quelli dei Pac (i Proletari armati per il comunismo, ndr) erano così spietati che neanche le Brigate Rosse volevano avere niente a che fare con loro».
Guido Salvini è stato l'ultimo giudice istruttore, nel 1986, a indagare su Cesare Battisti, scavando sulla parte più prosaica delle imprese dei Pac: le rapine per autofinanziamento, che in realtà andavano a rimpinguare soprattutto le tasche dei militanti. Ma quella attività, ricorda ora Salvini, era figlia legittima dell'estrazione sociale dei Pac.
Da dove spuntavano Battisti e i Pac?
«Battisti nasce come delinquente comune, privo di un retroterra politico. E tutta l'esperienza dei Pac aveva come terreno di coltura il modo del sottoproletariato criminale. Puntavano a politicizzare i comuni sia dentro che fuori le carceri e farne militanti rivoluzionari».
Con quale successo?
«Quasi nullo, fortunatamente. Alla fine della loro esperienza, i Pac avevano raccolto poche decine di militanti. Si trattò di una esperienza breve, un paio d'anni in tutto. Ma in quel periodo diedero prova di una ferocia inedita, anche nella scelta degli obiettivi. Il tentativo di reclutare militanti nel sottobosco criminale era stato fatto anche dai Nuclei armati proletari, che però colpivano solo rappresentanti delle istituzioni. I Pac invece scelsero di colpire anche cittadini comuni, colpevoli solo di avere difeso i propri negozi dalle rapine».
Che ruolo svolgeva Battisti?
«Un leader indiscusso e riconosciuto: anche per motivi anagrafici, perché era più anziano di buona parte dei militanti. Lui ha sempre negato questo ruolo, ma c'erano testimonianze concordi di militanti dell'organizzazione, che dopo essere stati arrestati si erano pentiti e dissociati quasi tutti».
Solo un capo o anche un operativo da gruppo di fuoco?
«Voglio ricordare che Battisti si diede alla fuga proprio per evitate di esser emesso a confronto con il suocero di una delle sue vittime, che aveva assistito al delitto e che era stato convocato per riconoscerlo».
Come giudica il suo comportamento in questi anni?
«Mi limito a osservare che da parte sua non è mai arrivata mezza parola di rincrescimento e nemmeno di umana pietà per le vittime delle sue azioni».
E adesso? Quali sono le possibilità di vederlo in Italia a scontare i suoi ergastoli?
«Il Brasile deve estradarlo, su questo non ci sono dubbi possibili. Nelle ultime occasioni per rifiutarne la consegna si è ipotizzato addirittura che in Italia fosse a rischio la sua incolumità fisica.
Non mi risulta che nelle carceri italiane i detenuti spariscano o vengano torturati. Un tema che si porrà è l'ergastolo, che non è contemplato dalla legge brasiliana. L'Italia potrebbe vedersi costretta a impegnarsi ad applicargli una pena più lieve».
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