Alzi la mano chi in vita sua non ha mai chiuso occhio sul posto di lavoro: presto o tardi - in fabbrica, alla scrivania, in viaggio - viene il momento in cui la palpebra traballa, e una breve sosta è il modo migliore per ripartire con rinnovato slancio. Ma adesso attenzione, soprattutto se siete dipendenti pubblici: se il pisolino in ufficio diventa una costante, ci si può ritrovare incriminati per truffa allo Stato, reato punito dal codice penale con il carcere fino a cinque anni. Si rischia, insomma, di finire a fare la siesta in cella.
Come riferito ieri in prima pagina da La Provincia, il primo funzionario dello Stato a venire chiamato a rispondere penalmente dei suoi riposi pomeridiani è un capo della Motorizzazione civile di Como, un ufficio investito pesantemente dalle indagini della Procura lariana sul fronte delle tangenti. La polizia stradale si era imbattuta in un singolare fenomeno: camionisti di tutta Italia si iscrivevano alle autoscuole della provincia di Como per frequentare corsi di qualificazione. Era saltato fuori un giro di corsi truccati, con relative mazzette, che aveva portato in cella il dirigente della direzione territoriale dei Trasporti, Antonio Pisoni. Ma per dimostrare il giro di quattrini, gli investigatori avevano riempito di telecamere nascoste gli uffici della Motorizzazione. Ed erano state le microspie a filmare anche le piacevoli abitudini del capo dell'Ufficio patenti e incidenti, Giorgio Masi.
Masi col giro delle tangenti non ha nulla a che spartire, e nell'inchiesta ci è inciampato per caso. In diverse occasioni, i video lo hanno immortalato mentre, nella privacy della sua stanza, si abbandonava a un sonno ristoratore; al risveglio, si ricomponeva, timbrava il cartellino e se ne andava a casa. In altre occasioni, preferiva altre forme di relax: la lettura di un buon libro, una lunga chiacchierata al telefono con un amico. Attività salubri, indubbiamente. Peccato che fossero svolte nel pieno dell'orario di lavoro, quando in teoria Masi doveva occuparsi delle migliaia di pratiche giacenti nel sui ufficio.
Quando ha visto i filmati e ha letto i rapporti della Stradale, il pubblico ministero Massimo Astoni non ha avuto dubbi: la siesta in ufficio è illegale. Se Masi fosse stato dipendente di una azienda privata, il reato ci sarebbe stato ugualmente, ma per incriminare il dormiglione sarebbe servita una denuncia dei suoi capi. Invece qui la vittima è la collettività, che paga lo stipendio agli impiegati pubblici. E per Masi è scattata d'ufficio la iscrizione nel registro degli indagati.
Ora la Procura ha chiuso l'inchiesta e intende mandare Masi sotto processo. Il danno all'erario che il pubblico ministero Astoni è riuscito a quantificare è, a dire il vero, modesto: duecento euro, calcolati forse cronometrando i tempi di abbassamento-sollevamento delle palpebre, e incrociandoli con la paga oraria di Masi. L'esiguità del profitto, comunque, secondo l'accusa non cambia la sostanza dei fatti: il dirigente ha frodato lo Stato, che lo credeva addetto al disbrigo delle pratiche mentre invece cavalcava nelle praterie del sogno.
Masi ha ora venti giorni di tempo per fornire le sue spiegazioni. Per i libri, per le telefonate private, forse sarà più difficile.
Ma per quei lunghi minuti trascorsi ad occhi chiusi, a portata di mano ha l'eterna giustificazione, quella che chiunque coltivi la sua stessa passione può fornire fin dai banchi del liceo a chi lo metta sotto accusa. É la risposta che nessuna perizia potrà mai smentire: «Non stavo dormendo. Stavo pensando».
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