"Dall'euro non si esce ma bisogna rottamare quei vincoli capestro"

L'Unione è quasi fallita: la rotta va cambiata Basta con i parametri su debito e deficit

"Dall'euro non si esce ma bisogna rottamare quei vincoli capestro"

Il voto sulla Brexit ha sollevato, anche nell'Eurozona, dubbi e perplessità sulla permanenza nella moneta. «Abbandonare l'euro è un errore e, in questo momento, impossibile, ma lo è anche essere vincolati a parametri inventati o sbagliati» sostiene tuttavia Giuseppe Di Taranto, autore de L'Europa tradita. Lezioni dalla moneta unica e docente di Storia dell'economia e dell'impresa presso l'Università Luiss di Roma.

Professore, cosa risponde a chi sostiene che la sola via d'uscita per tornare a crescere passi dall'addio alla valuta comune?

«In questo momento e in mancanza di regolamentazioni adeguate, abbandonare l'euro è impossibile. L'addio significherebbe andare incontro ad una svalutazione del 40% minimo e diventare oggetto della speculazione internazionale. Siamo ingabbiati dalla valuta comune. Ma occorre innovare e rinnovare le regole dell'Unione monetaria o il rischio che questo esperimento fallisca completamente è davvero elevato. Siamo già a buon punto»

Cosa intende per fallimento dell'Unione monetaria?

«Le attuali regole alla base dell'euro, contenute nel Trattato di Maastricht e nel Trattato di Lisbona hanno aumentato le disuguaglianze tra i Paesi aderenti, ampliando il divario tra quelli nordici, soprattutto la Germania, che hanno beneficiato delle normative esistenti a danno di quelli meridionali che, invece, dall'Unione monetaria escono impoveriti. In questo momento ben 140 milioni di europei sono a rischio povertà. Per questo occorre riformulare completamente le regole alla base dell'Unione»

Quali sono le normative che, a suo giudizio hanno accresciuto il divario e sono quindi da riformulare?

«Prima di tutto quelle alla base del rigore attuale, quella strategia di austerity che non ci permette di uscire dalla deflazione. Mi riferisco, in particolare, alla previsione del rapporto tra deficit e prodotto interno lordo al di sotto del 3%, e al rapporto tra debito pubblico e Pil entro il 60%. Criteri inventati all'epoca dei trattati e giustificati solo ex post. A maggior ragione rimanere vincolati a simili parametri è dannoso soprattutto, in un momento come questo dove per uscire dalla deflazione, occorre investire, oltrepassando questi limiti e aumentando il deficit e anche il debito pubblico. Ma la politica del rigore non lo permette. Non solo. In alcuni casi le normative ci sono ma, non essendo applicate le sanzioni non vengono rispettate. In particolare quelle relative al surplus commerciale che vedono la Germania torreggiare su tutti gli altri Paesi superando i tetti previsti».

Quale innovazioni suggerirebbe per riformulare l'Unione monetaria?

«Ritengo che occorrere partire dalla mutualizzazione dei debito pubblici, come avvenuto a fine '700 all'atto costitutivo degli Stati Uniti, e da una maggior flessibilità della valuta comune che preveda agevolazioni per i Paesi rimasti indietro per favorirne il futuro riallineamento».

Ritiene possibile raggiungere questi obiettivi?

«Non sono ottimista in merito. Il Nord Europa che finora si è avvantaggiato di questa situazione non ha interesse a cambiare le regole del gioco»

Nel breve termine si può fare concretamente?

«Ora il nemico da combattere per salvare l'Europa è, più concretamente, la deflazione creata dalla politica del rigore che alcuni Stati non vogliono abbandonare a favore di una maggiore flessibilità»

II quantitative easing su cui oggi si attendono aggiornamenti può, a suo giudizio, sconfiggere la deflazione?

«Non è così semplice.

Se non si spinge sull'accelerazione della crescita, abbandonando il rigore a favore degli investimenti che portano a un aumento del Pil e a un miglioramento in termini di occupazione, è difficile che la domanda torni a salire. Di fatto la politica del rigore sta congelando il quantitative easing».

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